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Marta Sidoli, "con i miei incredibili falsi d'autore ho conquistato anche Trump"

Daniela Mastromattei
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 Le basta una foto per riprodurre un capolavoro. Sia che si tratti di Leonardo o Rembrandt, di Klimt o Caravaggio, di Vermeer o Raffaello, di Monet o Renoir, di Botticelli o Canaletto. Non c’è artista che non abbia copiato (magistralmente) Maria Sidoli, la regina dei falsi d’autore. Nata a Fiorenzuola d’Arda nel 1941 e trasferitasi a Milano all’età di quattro anni, la pittrice fin da piccola è stata attratta dai colori e soprattutto dai girasoli («ho scoperto anni dopo quanto fossero identici a quelli di Van Gogh»). Ha studiato all’Accademia delle Belle arti, e imparato il mestiere nelle botteghe di importanti maestri («ero una bella ragazza e mi prendevano volentieri come apprendista»).

Alla fine ha sposato un pittore.  «Quel Canaletto l’ho fatto con mio marito, lui era molto tecnico...», rivela mostrando il quadro (“Veduta di Palazzo Ducale”) nella sua galleria in via Cherubini al numero 3 della città meneghina, zeppa di tele appese alle pareti e accatastate a terra. Quanta bellezza. Sono copie, ma sembrano autentiche. Le accortezze... «Il falso va fatto un po’ più piccolo o più grande dell’originale. E poi bisogna rispettare la legge che vieta di copiare le opere di pittori scomparsi da meno di 70 anni. Mi spiace non poter ridipingere Botero». 
 

Quanto tempo impiega a copiare un quadro? 
«Prima di tutto dipende se riesce di primo acchitto o se devo continuare a ritoccarlo. E comunque è il soggetto che detta il tempo, potrei metterci un’ora come sette giorni o più. Certe volte ci sono quadri che mi fanno tribolare e allora li lascio e ne comincio un altro e poi ci ritorno sopra».
Qual è quello a cui è più legata? 
«Quello che mi ha dato la notorietà, con il quale sono diventata la regina dei falsari: “La Gioconda”. Ed è anche il quadro più difficile. Faccio tanti ritratti complicati. Ma la Monna Lisa la conoscono tutti, quindi se sbagli una sfumatura, addio. Soprattutto il sorriso è quello che tutti vanno a guardare. Credo di essere rimasta l’unica a realizzarla con il kraklè, è una tecnica che mi hanno insegnato 60 anni fa per ottenere l’effetto crepa».
In che consiste? 
«Lei la conosce la ricetta della Coca Cola? È un segreto. E quelli che conoscevano il kraklè sono tutti morti. Di quella scuola resto solo io. E comunque il bello dei falsi d’autore è che non necessariamente devono essere identici, altrimenti sembrano stampe ritoccate».
Quante ne ha fatte di Gioconde? 
«Guardi io non le conto perché sono contraria a catalogarle».
Quella che le e riuscita meglio? 
«Ce l’ho io».
Quanto può costare una sua Monna Lisa? 
«Duemilaequattrocento euro di 50 per 70 centimetri».
È sempre una sfida con se stessa quella di riprodurre i capolavori? 
«Sì, ma a volte cerco anche di migliorarli per renderli più accattivanti, se un quadro è brutto, ovviamente secondo la mia sensibilità, non mi ci metto neanche. O parto per migliorarlo oppure niente».
Quindi ci mette un po’ del suo... 
«Eh, insomma. Ci sono certe facce tristi che con le mie pennellate acquistano luce. Lo ammetto: a volte li rendo più belli. Pensi che qualche anno fa ero pronta per spedire in Svizzera un mio Caravaggio (“La cena in Emmaus”), copia di quello che è nella Pinacoteca di Brera, ma le Belle arti che dovevano dare il permesso, mi dissero che non poteva essere inviato perché non si riusciva a distinguera la copia dall’originale. Mi chiesero di rimetterci le mani. Mi rifiutai, avrei guadagnato 12 mila euro, poi lo vendetti qui a Milano a un italiano e non ci feci neanche la metà».
Ma il più richiesto è sempre la Gioconda? 
«Il quadro più richiesto, quello più di prestigio è senz’altro la Gioconda, poi ci sono i Van Gogh. Monet invece è un po’ scaduto. Purtroppo anche l’arte è diventata una moda. E in questo periodo vanno molto gli astratti, anche i miei».
E tra i capolavori astratti quali le chiedono di copiare? 
«Kandinskij è quello che al momento va di più. Il prezzo va da trecento fino a mille, milleduecento euro, poi dipende dalle misure».
I soggetti che le piace di più raffigurare? 
«Ho la passione per Van Gogh. Ho letto molto sul pittore olandese, il suo tormento mi ha sempre attratta molto. E con lui ho un certa sintonia. Il pubblico apprezza molto la mia “Notte stellata” e il mio “Caffè di notte”. Ma forse la “Notte stellata” è quella che piace di più».
I prezzi? 
«Dai 300 ai mille euro; un 50x70 circa 600 mila euro».
L’Urlo di Munch? 
«Era di moda sei o sette anni fa, adesso non lo è più, però l’ho venduto per parecchio tempo. Chissà forse l’uomo moderno non è più afflitto dalla solitudine...».
Quando deve dipingere un quadro è come quando un attore deve immedesimarsi nel personaggio che andrà a interpretare? 
«Ho studiato un po’ tutti gli autori, le loro storie, ma sì poi mi devo assolutamente immedesimare. Quando arrivo alla fine di un quadro mi capita spessa di pensare se l’autore lo avrebbe lasciato così. E quando la risposta è negativa, continuo a ritoccarlo fino a quando non sono soddisfatta».
Lei sa riconoscere un falso d’autore? 
«I grandi maestri riesco ad individuarli, ma devo dire e non voglio fare nomi che pure i critici d’arte ogni tanto “cannano”».
Che differenza passa fra una copia e un falso d’autore? 
«Nessuna, chiamarli falsi d’autore è più intrigante. È una questione di marketing».
Chi compra i suoi quadri? 
«A Montecarlo ho fatto una mostra di falsi d’autore negli anni Novanta, passò Carolina di Monaco, aveva appena perso il marito Stefano Casiraghi. E si fermò rapita davanti al “Caffè di notte”, “La Notte stellata” e “I girasoli” di Van Gogh. Li prese tutti e tre per metterli nella sua casa in Provenza. Subito dopo, entrò una bella signora, elegantissima, era Ivana Trump e lei dopo un giro tra i quadri mi comprò “La donna sulla terrazza” di Renoir. E quando il marito durante la campagna elettorale si è fatto riprendere nella sua casa di New York ho riconosciuto il mio quadro al quale era stata messa una cornice pazzesca».
Anche l’Avvocato e Berlusconi...
«Non mi faccia fare nomi. Il maestro Muti è mio cliente, tanti vip e qualche ministra. Poi ci sono quelli che vengono dicendo di avere l’originale in cassaforte e vogliono appendere un falso alle pareti per i ladri, ma io non sempre credo che abbiano l’autentico».
In che anni sono esplosi i falsi d’autore? 
«Negli anni Cinquanta c’erano tanti pittori che realizzavano falsi ma non per esporli alla luce del sole, se li compravano i galleristi e poi chissà che ci facevano. Forse li spacciavano per autentici. Di falsi venduti come veri è pieno il mondo. Per esempio di Schifano ce ne sono 10mila in giro e lui ne ha realizzati appena 1000. Io ho partecipato 40 anni fa all’Hilton di Milano alla mostra di falsi d’autore alla luce del sole, la prima credo, e ogni artista si è presentato con i suoi lavori. E così ho iniziato». Quando torna con la sua galleria in viale Piave? «Dopo il 15 gennaio...». 

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