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Giancarlo Pagliarini si confessa: "La mia terza moglie, Milano e il mio piano per le Europee"

 Pagliarini

Simona Bertuzzi
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La seconda vita di Giancarlo Pagliarini è iniziata nella villa di Zoagli affacciata sul mare dove ha preso in moglie la 52enne peruviana Ysabel Terrones «ma non scrivere che l’ho sposata per dimostrare che la vecchia Lega non era contro i meridionali». Era il 20 maggio 2023. Torta con la bandiera svizzera omaggio alla costituzione federale «migliore del mondo», e torta con bandiera del Perù per compiacere l’amorevole consorte... Da lì è stato un susseguirsi di avventure rocambolesche tra la casa nel vecchio frantoio dove fa l’affittacamere e coccola i clienti a base di consigli sapienti e focaccina ligure, sortite nell’ingarbugliata Milano incanutita come «una vecchia moglie di cui non vedi più i difetti», e un progettino politico di un’Europa dei popoli che nell’EFA (European Freee Alliance) ha il suo referente a Bruxelles, e proprio ieri a Chivasso ha costituito la sua propaggine italiana. Tempra di un 20enne, commercialista tutto d’un pezzo e fino al midollo, i numeri lo inebriano oggi come ai tempi in cui da revisore dei conti lucidissimo e caparbio (detto il chierico della revisione) teneva lezioni sui bilanci ai giornalisti insipienti della stampa milanese, «se fossero rimaste tracce dei conti dei greci e dei troiani, potremmo capire le ragioni di una guerra che non è certo stata causata solo dalle malie di una bella pupa». E per la cronaca: «Piango come un bambino quando si parla di debito pubblico!».

Starà mica scherzando????
«Sono faccende dolorose per me».

Potrei iniziare dalla politica ma preferisco chiederle come sta.
«Sto come un papa a Zoagli. Ho una casa magnifica a San Pietro di Rovereto e seimila metri di terreno intorno. Per arrivarci bisogna infilarsi in uno sterrato largo solo un metro e 64. Ci passa appena una vecchia panda.
Quando il sindaco mi propose di allargarlo dissi “sia mai, va benissimo così”».

Meglio evitare le masse, caro Pagliarini. E a Milano ci viene mai?
«Ogni tanto. Le sono molto affezionato. La mia Conca del Naviglio mi è rimasta nel cuore. C’era l’albergo popolare allora che oggi non c’è più.
Spesso vado anche ai giardini di Porta Venezia, faccio due passi a piedi fino alla statua di Montanelli, lo saluto e me ne torno a casa in via Morgagni».

Una delle ultime volte le capitò però una brutta avventura in città.
«Mi sono incazzato come pochi».

Con i ladri o con la polizia?
«Con la polizia! Mi avevano rubato il pc in meno di un minuto mentre scendevo dalla macchina e scaricavo i bagagli davanti a casa. Tramite l’app li individuo al Mc Donald’s di via Farini. Corro dalla polizia e abituato come sono all’efficienza della Catalogna dico “andiamoli a prendere che sono in grado di individuarli!” ma loro mi rispondono che devo seguirli io e poi chiamare il 112. Mancava solo che mi dicessero di stare attento a non disturbarli durante il pranzo. Fatto sta che ho seguito i ladri fino alle 3 del mattino poi sono tornato indietro con le pive nel sacco. Mi sono sentito tradito dalla mia città. Oggi, quando ho infilato le chiavi nella serratura di casa, mi è tornato alla mente tutto quanto».

Meglio stare guardinghi di questi tempi.
«Lo dice a me? Da bravo revisore dei conti mi sono sempre guardato le spalle».

Non sapevo si fosse sposato.
«È la terza moglie in verità».

Mica male per un 81enne. E la prima?
«Lavoravo già in un colosso come l’Arthur Andersen, revisione contabile. Mi ero sposato a Colchester, nell’Essex, ma vivevamo a Clacton Sea. Mia moglie si chiamava Sarah Arnett e all’inizio, lo confesso, fu un rapimento».

In che senso scusi?
«Lei scappò da casa e venne a vivere a Milano con me.
Poi fece pace con i genitori e ci sposammo con tutti i crismi in Inghilterra. Tanta fatica per niente perché divorziammo quasi subito».

La seconda invece?
«Sonia Bekdemirian, nata a Milano da genitori armeni scappati dal genocidio. Era malata di Parkinson ma è morta per un tumore fulminante il 16 aprile del 2021. È la madre dei miei figli. Erano le cinque del pomeriggio quando ci ha lasciato. Eravamo tutti e 4 assieme: io, mia moglie Sonia, mia figlia Martina e mio figlio Tommaso.
Entrambi hanno anche un primo nome armeno: Hripsimè e Pusant».

Per questo è così attento alla questione armena?
«Assolutamente sì ed è una soddisfazione essere riuscito a far riconoscere il genocidio in Parlamento».

Mi dica dei suoi figli.
«Martina insegna yoga, Tommaso è un attore bravissimo, ha fatto la scuola Paolo Grassi. Come scrisse giustamente Gian Antonio Stella in un ritratto che fece di me, la razza Pagliarini migliora col tempo».

E adesso si è aggiunta Ysabel.
«Grandiosa, mi dà una mano. Siamo molto simili, vediamo le cose nello stesso modo. È un’OSS bravissima e ha lavorato 13 anni con i malati di mente. Con lei ho smesso di guidare e le confesso che cucina da dio».

I suoi ricordi di Milano?
«Laurea in Cattolica e prima Collegio San Carlo in corso Magenta. Classe magnifica, compagni eccezionali, ci vediamo ancora adesso.
Maurizio era quello instancabile, e tra le mille cose trovava anche il tempo e la pazienza per organizzare le nostre cene: partecipavamo sempre in tanti. Venivano anche Gigi di Alberobello, Renzo da Bologna. Purtroppo Maurizio se ne è andato. Con l’aiuto di sua moglie, ci ha scritto una lettera bellissima il giorno in cui è morto e ci ha ricordato che la prossima cena dovremo organizzarla noi».

Torniamo alla politica se le va.
«Non avevo fatto politica da giovane. Ma facevo parte del consiglio direttivo di IDOM, un gruppo di imprenditori, con me c’era Giorgio Galli, grandissima mente e politico. Un giorno ci disse: “ragazzi bisogna trovare il modo di fermare la Lega!”.
D’accordo, feci io, “ma cosa ne sappiamo”. Era l’89. Chiamiamo uno della Lega per capirci qualcosa e si presenta Speroni con una cravatta incredibile. Ci spiega: “Noi milanesi diamo i soldi a Roma e poi i politici li riversano nei collegi elettorali. Teniamoci i soldi a Milano così sappiamo come li spendiamo”. Discorso tanto banale quanto logico. Una folgorazione. Inizio a frequentare la sede della Lega. Una sera sono fuori a cena con Formentini e mi dice: “ti va bene se ti candidiamo al Senato?”. Accetto e prendo un mucchio di voti, Roma mi piacque moltissimo».

Senatore e deputato della Lega dal 92 al 2006 e nel 1994 la chiamata nel governo Berlusconi. Ministro del Bilancio.
«Berlusconi aveva una testa pazzesca. Si ricordava tutto e al telefono mi chiamava Mimmo. Senta questa: mia figlia un giorno torna a casa da scuola in lacrime e mi dice “papà papà la maestra mi ha pregato di dirti di non dividere in due l’Italia”. Ma le par possibile?».

Invece da assessore al Demanio di Albertini?
«Il Comune non aveva un inventario dei suoi beni. Follia. Ogni tanto arrivava uno che diceva di avere una proprietà del Comune in usucapione. Facemmo un mucchio di cose, rendemmo anche incedibili i contratti della galleria e alzammo di prezzi di 4 volte tanto».

E l’amico Bossi?
«La prima cosa che gli dissi fu: caro Umberto, dobbiamo fare il time report come nelle aziende. Ogni parlamentare deve dire cosa fa nelle otto ore. Se lavora un progetto di legge, se va in giro a raccattare i voti, se studia e si prepara».

E lo fecero?
«Nessuno mai».

Cosa pensa di Sala?
«All’inizio mi piaceva. Lavorava molto bene per il Comune di Milano e aveva gestito benissimo l’Expo».

E poi l’ha votato?
«Voto pochissimo da quando non c’è più la Lega di una volta. Non dico che sia un disastro. Ma non è meglio e neppure peggio di altri partiti».

Salvini invece?
«Lo conosco bene... Giocammo a pallone allo stadio di Monza. Lega Nord contro Forza Italia, finì 2 a 2. Io feci un gol di testa, Salvini correva sulla fascia, era bravo. Ed era uno dei nostri. La Lega era una famiglia allora. Non c’era bisogno di parlare, la pensavamo tutti allo stesso modo».

A cosa sta lavorando adesso?
«A 65 anni ho smesso di fare politica attiva. Ma c’è un partito politico in Parlamento a Bruxelles, l’EFA, che si è costituito nell’81 e vuole l’Europa dei Popoli e non degli Stati e a me questa cosa piace un mondo. Ieri, a Chivasso, i presidenti di Efa (Lorena Lopez de Lacalle) e di Autonomia e Ambiente (Roberto Visentin) hanno annunciato alleanze per le elezioni Europee 2024. Dobbiamo riunire più gente possibile per fare massa critica. Pochi giorni fa eravamo in videochiamata su questo proprio con Reguzzoni e prima avevamo visto Castelli. È l’abc del federalismo».

Un suo cruccio il federalismo.
«Ancora adesso vengo invitato dai partiti politici a spiegare cos’è il federalismo. Io vado volentieri e spiego come funzionano le cose in Svizzera dove la sovranità è dei cantoni e lo Stato è a servizio dei Cantoni. In Svizzera ci sono 26 cantoni e parlano 4 lingue diverse. Ma il primo agosto cantano tutti insieme l’inno nazionale e si sentono tutti svizzeri. Invece noi parliamo di nazioni. Ma le nazioni hanno fatto la guerra mondiale, accidenti!».

Post scriptum, perché se non lo scrivo gli faccio uno sgarbo: ieri a Chivasso è stata ricordata la storica dichiarazione di autonomia siglata 80 anni fa nella città piemontese da alcuni antifascisti della Val D’Aosta e di quelle valdesi. Ovviamente Pagliarini c’era. E c’è di più: conta di tornarci il 19 dicembre 2043 per festeggiare i cent’anni della Carta.

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