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Philip George, non solo house anni 90: "Voglio provare tutto. E quella notte da incubo all'Amnesia..."

Leonardo Filomeno
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Ci sono sogni che qualche volta sei costretto a chiudere in un cassetto. E che appena riesci ad acchiappare puoi tenere in vita solo con un pizzico di follia e di coraggio. Quelli del dj producer inglese Philip George sono esplosi grazie a Wish You Were Mine. Che non è soltanto il singolo dance più venduto del 2015 nel Regno Unito. È soprattutto il brano che gli ha permesso di mettere il turbo nella corsa verso i festival e i club più importanti del mondo. Con Alone No More l'artista 22enne cala il secondo asso. Ma per il sound anni '90 che caratterizza i suoi lavori sarà l'ultimo potente ruggito.


Insomma, se tutti seguono la stessa direzione, l'unico modo per distinguersi è cambiare. 

"L'idea, infatti, è quella di percorrere tutte le strade possibili, senza pensare troppo al successo. Ogni traccia su cui sono al lavoro abbraccia varie sfaccettature della house, da quella cantata a quella underground, e la reazione del pubblico è sempre interessante. Sono brani che potrei proporre tranquillamente in un show tutto mio".

A chi è venuta l'idea di riprendere un brano R&B di fine anni '90? 

"Al mio collega Anton Powers. Il pezzo non l'avevo mai sentito: nel '98, quando uscì l'originale degli Another Level e Jay-Z, ero piccolissimo. Per me c'erano semplicemente una bella voce e del buon materiale su cui lavorare. Credo sia stato meglio così. Partire da qualcosa che già conosci comprime le sensazioni e ti impedisce di dare alla canzone il giusto ritmo".

A proposito di successi R&B, Joe Stone nella versione 2015 di This Is How We Do It di Montell Jordan sembra ispirarsi chiaramente allo stile di Wish You Were Mine. Che effetto fa? 

"Il problema di certi artisti è che quando vanno a ripescare brani leggendari finiscono per fare scelte ovvie. C’è qualcosa che mi fa stridere i denti quando ascolto pezzi così. È il remix stesso che rovina l'originale. Con Alone No More ho cercato di rispettare i canoni della house odierna, ma non credo di aver rovinato il pezzo di partenza, anche per i motivi di cui ti parlavo prima". 

WYWM ha avuto una lunga gestazione. Quando hai capito di avere tra le mani una bomba? 

"L'ho composta 2 anni e mezzo fa. La prima versione era semplicissima e aveva un sapore più funky. Poi mi sono concentrato su aspetti della produzione a cui non avevo mai dato grande importanza. Non so cosa mi sia passato per la testa nei giorni della stesura finale (sorride, ndr). Anche se abbiamo stili differenti, il modo di fare musica di Dusky mi ha dato senz'altro una scossa. Non sono ancora un mago nella fase di missaggio di un disco, però imparo cose nuove ogni giorno".

Il successo di questo singolo ti ha spalancato le porte dell'Amnesia. La residenza estiva a un party storico come il Cream Ibiza non poteva passare inosservata.  

"Sfido chiunque a trovare un posto simile all'Amnesia. Solo il Sankeys, a volte, raggiunge quel livello. Ci sono episodi particolari legati allo spirito della terrazza del locale. Una sera si stavano esibendo Carnage, Borgore e Steve Aoki: credo di non aver mai sentito un set così brutto in vita mia. È stato come assistere alla sconfitta della squadra di calcio preferita durante una partita importante. Ho cercato di fingere indifferenza, ma evidentemente il fastidio sarà stato troppo grande e se ne sono accorti tutti. Per giunta, dopo toccava a me, solo che molti erano andati via già a metà del loro set...". 

Beh, ma in cartellone affiancavi leggende della trance come Paul Van Dyk o Above & Beyond. Vi siete mai incrociati? 

"Una volta, con Paul e sua moglie: eravamo nella stessa macchina, mi sono limitato a un saluto. Sono più attratto da dj come Carl Cox e Eric Prydz. Il mio sogno è entrare nelle grazie di Pete Tong: per me resta una leggenda".

Sentendoti parlare, sembra che la genuinità del ragazzino che si divertiva a usare la tastiera elettronica di sua sorella e a imitare Stevie Wonder non sia affatto svanita. 

"(Ride, ndr) Quella testiera non ce l’abbiamo più, era fantastica: aveva quasi 5 ottave e 100 melodie preimpostate. Fu mia madre che, sentendomi imitare il ritornello di I Just Called To Say I Love You di Stevie Wonder, decise di mandarmi a lezioni di piano. Chi l'avrebbe mai detto che un giorno l'avrei citato in Wish You Were Mine (il brano è costruito attorno a un campione originale di My Cherie Amour, del '69, ndr) e che avrei avuto l'onore di chiacchierare con lui: quell'incontro è stato davvero strano". 

A un certo punto hai abbandonato gli studi: è stata una necessità? 

"Fino a poco tempo fa lavoravo in una catena di abbigliamento e la sera arrotondavo servendo birre. Ho frequentato il college e poi l'università. Ho mollato al secondo anno perché non sopportavo gli atteggiamenti di certi compagni. Alcuni mi ammiravano, altri mi guardavano dall'alto verso il basso. Spesso mi sedevo in un angolo e li lasciavo fare, o saltavo le lezioni per dedicarmi alla musica. Non è stato un grande momento, se ci penso la tristezza prende ancora il sopravvento". 

Alone No More parla di un amore travagliato, con le ragazze come va? 

"C'è una ragazza al mio fianco, ci vediamo spesso, questo mi fa sentire fortunato. Come il fatto di essere una figura presente in famiglia. Pensa che qualche volta, durante le serate, mi porto dietro mia madre".

Quanta normalità ci può essere nella vita di un top dj? 

"Sicuramente quella che trascorro con i miei, a Nottingham. Una vita in giro per il mondo può sembrare piena di belle cose. E probabilmente lo è. Ma quando gli amici mi raccontano delle loro feste, un po' di invidia la provo. Certe volte chissà cosa darei per qualche ora da dedicare al golf o per una birra in un pub. Sono una persona semplice, la normalità per me è anche in queste cose. Riconquistarle, riprendere le abitudini di un tempo, sta diventando la sfida più grande. Quella che almeno una volta al mese non vedi l'ora di vincere".

 

 

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