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Filippo Facci: la Legge Bravaglio

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Matteo Legnani
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Da 23 anni mi sento dare dell'ingenuo - da vari colleghi ma anche, ricordo, dall'avvocato Caterina Malavenda, che fu mia insegnante alla scuola di giornalismo e ora difende uno come Travaglio - perché ho sempre scritto ciò che la Cassazione ha finalmente ribadito l'altro giorno, lasciando di stucco i soliti addetti alla copisteria giudiziaria: cioè che il Codice già contiene gli articoli 114, 329 e 684 che vietano espressamente la pubblicazione di virgolettati provenienti da atti e verbali e compagnia bella, questo senza bisogno che i governi ogni tanto abbozzino presunte "leggi bavaglio" che poi non vanno mai in porto. Non conta se i virgolettati siano coperti da segreto o no, se siano riportati correttamente, se si ravvisi un interesse pubblico: è vietato e basta, lo è già, lo era già, e per saperlo bastava leggere o voler rileggere le reazioni isteriche dei cronisti quando il Codice entrò in vigore, nel 1989: ancora non sapevano che gli articoli 114, 329 e 684 sarebbero stati assassinati da loro stessi in combutta con la stessa magistratura che, ora, riscopre l'ovvio. Riscopre cioè che - come scrive il Fatto Quotidiano - le violazioni sono sempre state "prassi comune di cui di solito non si duole nessuno". Un paio di palle. Certo, è comprensibile che ora ci sia sbigottimento: è come se la Cassazione avesse abolito il Fatto Quotidiano, il bavaglio a Travaglio. Tranquilli: la magistratura fa, disfa e rifà. Non c'è nessun altro. A parte i servi di procura che aspettano l'osso. di Filippo Facci

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