Tutti inchinati a Che Guevara, celebre farabutto
Non ha suscitato non dico scandalo, ma neppure un involontario tic infastidito, la mia definizione di Cesare Battisti quale «comunista di merda». Lo è. Lo era anche dieci anni fa, allora tuttavia sarei stato colpito da strali disgustati perché l' accostamento tra le due parole era ritenuto una bestemmia. Il tempo è galantuomo, si usa dire. Non sempre e non per tutti, però. Ci sono santuari blindati e consegnati alla menzogna perenne per una sorta di accordo tra compagni e borghesia sognatrice. Me ne frego dell' anatema che non rovinerà la mia vecchiaia già incespicante per conto suo e, siccome la verità è rivoluzionaria, dico: Che Guevara fu un comunista di merda, un rivoluzionario che ammazzava gente innocente. Celebrarne la memoria è un insulto per le vittime e un premio alla vigliaccheria di chi finge e porta fiori al suo mausoleo. In realtà, chi lo ha fucilato nella foresta di Santa Cruz, il 9 ottobre del 1967, ha liberato l' umanità da un assassino. Il torto di chi lo ha liquidato è stato di aver fornito materiale per un mito, costruito con abilità da chi lo considerava un nemico stupido e pericoloso, e lo aveva mandato a crepare solitario in Bolivia, cioè Fidel Castro. Arrivo tardi rispetto al cinquantenario dalla «morte dell' eroe». Non è maleducazione. Volevo prima osservare lo spettacolo delle celebrazioni, e vedere se fosse comparso negli organi deputati a formare il comune sentire degli italiani qualche pensiero meno cloroformizzato. Niente da fare. Le istituzioni civiche e antifasciste, i Tg della Rai e della concorrenza, quelli almeno passatimi davanti agli occhi, oltre che i giornaloni, sono stati monocordi: sul mito di Ernesto Che Guevara è stata data un' altra mano di smalto. Mi fermo al Corriere della Sera e al sindaco di Milano, i quali si sentono espressione della borghesia milanese: di sinistra quel tanto che basta per non avere rotture di scatole dai sindacati interni (via Solferino) e dagli alleati in giunta (Palazzo Marino). Corriere della Sera. Tra tutti i servizi dei dì precedenti, colpisce nel giorno dell' anniversario un articolo da agiografia ottocentesca di Santa Genoveffa. Questo il titolo: «Guevara sapeva sorridere di tutto», dove manca il particolare del profumo di rose, ovviamente selvatiche essendo guerrigliero, ma è solo per pudore. A pag. 48, due signori che devono avere un bel gruzzoletto da parte, viste le tariffe, si fanno pubblicare nella ricorrenza un necrologio a mo' di panegirico del «comandante». In sottofondo, mentre gustavo questa memoria dolente dei due tardi compagni, il Tg2 trasmetteva le commosse note dell' inno imperituro: «De tu querida presencia, comandante Che Guevara». Beppe Sala, sindaco di Milano, non è da meno. Sotto la sua guida di manager riformista, capace in passato di simpatie persino non di sinistra, la Metropoli s' inchina al criminale acclarato. Il Comune da lui gestito ha deciso infatti di inghirlandare non per un giorno, né una settimana, e neppure un mese, ma per 115 giorni, dal 6 dicembre al primo aprile 2018, la Fabbrica del vapore dedicandola «Alla storia e alla vita del Che "uomo" e "personaggio storico"». Lasciamo perdere qui, ma non tanto, che Guevara fosse un uomo escrementizio, e che in tal modo si sputa addosso a quelli che ha ammazzato di persona, fatto fucilare senza processo e incarcerare per motivi di opinione, religione e sesso. C' è di peggio: quel sito poteva essere usato in questi mesi per eventi redditizi, e invece finisce che i milanesi senza colpa sono costretti a portare un obolo al comunista di merda e ai suoi santificatori impuniti e disonesti. Dico disonesti a ragion veduta. Non c' è bisogno di essere di destra per riconoscere gli errori e correggerli. Da noi è pratica aborrita. Da decenni la documentazione sulla crudeltà del Che (il cui soprannome ha tra l' altro una spiegazione non proprio eroica: intercalava così, con un «cè» come se uno lo chiamassimo «Cioè» per il difetto da oratore sessantottino); la documentazione, dicevo, è inoppugnabile, anche perché è lui stesso a fornirla nei suoi diari e nei discorsi pubblici. Ha scritto saggi poderosi sul tema il Nobel della Letteratura Alvaro Vargas Llosa. Siccome però non è mai stato di sinistra lo si potrebbe prendere sottogamba. Ma nel luglio scorso è toccato al settimanale per eccellenza della gauche francese demolire ad uno ad uno le qualità fasulle del barbudo e disperdere le ceneri dell' illusione gloriosa che quello stesso rotocalco aveva creato. Il Nouvel Observateur, in gergo Obs, ha dedicato infatti una copertina a questa operazione di revisionismo salutare. Si tratta di un' esplorazione meticolosa, sono raccolte testimonianze di compagni di Guevara a proposito di questo squallido capolavoro della macchina propagandistica castrista e feltrinelliana, suo mentore italico e non solo. A proposito di Feltrinelli. Ben prima di questa presa di distanza ero stato inondato degli orrori perpetrati dalla coppia Castro e Guevara da Valerio Riva, compagno di Giangiacomo ai tempi delle sue visite all' Avana, e che per primo in Italia si strappò di dosso il guano cubano. Orrori, sia chiaro, inferiori per quantità ma non per qualità a quelli di cui è stato autore il nazismo, figuriamoci il fascismo. Il «Che» è infatti nominato subito dopo la presa dell' Avana, procuratore militare, imponendo la condanna a morte di duemila avversari politici. Poi fondò nel 1960 i gulag di Cuba, che guidò - scrive l' Obs - con «mano di ferro», creò prigioni speciali per adolescenti, per omosessuali, ma anche una per bambini di dieci anni (a Palos). Perfetta coerenza. Aveva spiegato ai suoi allievi guerriglieri in Venezuela: «Prendete un fucile e sparate alla testa di qualunque imperialista abbia più di 15 anni». Cito due frasi di Guevara, a proposito del suo essere stato eletto campione del pacifismo: si definiva «alimentato dall' odio come fattore di lotta; l' odio intransigente verso il nemico che spinge l' essere umano al di là dei suoi limiti naturali e ne fa una efficace, violenta e fredda macchina per uccidere». Bell' autoritratto, non è vero? Era malato di asma, a quanto pare, ma la vera patologia era nella testa. Non sopportava la pace, fino a confessare al poeta cileno Pablo Neruda, fraterno amico suo: «La guerra... La guerra... Noi siamo tutti contro la guerra. Ma quando l' abbiamo fatta, noi non possiamo più vivere senza di essa». Altro che eroe coraggioso. Sparava alla testa di gente disarmata, chiamava «animalitos» (nei suoi diari) i contadini poveri che non aderivano alla sua lotta armata in Bolivia, e li eliminava. Siccome di questi tempi molti cattolici lo onorano come un nuovo Cristo, perché bello, barbuto, e crivellato di colpi, ricordo che una ricerca accurata ha contato i preti che, sotto la sua lungimirante visione del mondo, sono stati eliminati: 131. Di questo comunista di merda, assassino seriale, si vendono le magliette, Milano e il Corriere ne celebrano i fasti. E il pericolo secondo Fiano e il governo sarebbe il fascismo e le bottiglie di vino di Predappio. Fate schifo. di Vittorio Feltri