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Vittorio Feltri: leva obbligatoria? Soltanto una grande perdita di tempo

Cristina Agostini
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Caro presidente dei Bersaglieri, capisco i suoi argomenti ottimistici a riguardo del ripristino della naja, la nostalgia dei bei (si fa per dire) tempi andati prevale quasi sempre sulle brutture del presente. Lei parla di addestramenti rigorosi impartiti dai militari alle reclute, che giovano all' educazione, e in teoria potrei essere d' accordo con lei. Fare il soldato aiuta a crescere e a comportarsi in maniera disciplinata. Forse. Ma la mia esperienza non conforta le sue nobili tesi. Leggi anche: "Troppi bamboccioni e...". Leva obbligatoria, Meluzzi da godere: cosa si spinge a dire Nel 1964 dovetti lasciare il posto di applicato all' amministrazione provinciale di Bergamo, la mia città, per recarmi al Car di Orvieto. Ci andai col treno che percorreva la linea tirrenica. Arrivai a destinazione a notte fonda dopo un viaggio di parecchie ore. Entrai in caserma insieme con molti altri ragazzi. Ci trattarono come fossimo una mandria di bovini, sbattuti in una orrenda camerata e costretti, al buio, a prepararci luride brande. Alle sei del mattino arrivò un bruto che ci costrinse a male parole ad alzarci e a vestirci, senza permetterci di lavarci. Bevemmo un caffè da vomito attingendolo da un secchio. Poi fummo condotti in un locale zeppo di divise usate e ciascuno di noi ne scelse una, la meno schifosa. A me ne toccò una di un paio di taglie superiori alla mia, sembravo un burattino, essendo magro come un chiodo. Iniziò l' inferno. Gli ufficiali erano arroganti e sgarbati, i sottufficiali, buzzurri, erano ancor peggio: non parlavano, non davano ordini, berciavano. Noi ultimi ospiti non capivamo come dovessimo comportarci, venivamo sbattuti di qua e di là quali cenci. Strilli, parolacce, intimidazioni. Finalmente un caporalmaggiore mio concittadino, Alpi, ebbe pietà di me e mi fece cooptare in fureria, sotto il comando di un maresciallo perbene e addirittura gentile che mi affidò compiti d' ufficio. Fu una liberazione. Non feci una marcia, non un addestramento, non sparai un colpo, non lanciai una bomba a mano. Lavoravo meno che in Provincia. Ero rispettato dappertutto tranne che in mensa, dove mangiavo lo stesso rancio disgustoso dispensato ai commilitoni. Persi quattro o cinque chili, sembravo Gandhi. Dopo 40 giorni di dieta Hitler, fui sottoposto insieme con altri privilegiati a dei test attitudinali. Dato che scrivevo a macchina con abilità, presumo, venni selezionato e mandato a Roma. Posto sosta e ristoro, un paradiso, dove ricoprii un ruolo in direzione. Da quel momento, essendo diventato l' assistente del maggiore, uomo mite, praticamente dirigevo la baracca: il bar, il ristorante, i negozi, il carico e lo scarico delle merci. Mi regalarono dei gradi con relativi aumenti retributivi. In fondo ho sgobbato 14 mesi o poco meno. Mi occupavo anche dell' inventario. Alla caffetteria mancavano dei soldi, allora mi accordai con un giovane napoletano che sapeva di liquori, il quale con degli intrugli riempì a costo quasi zero varie bottiglie il cui contenuto era versato ai clienti a prezzo elevato. Pareggiammo i conti e il maggiore mi abbracciò. Ebbi uno stipendio adeguato alle mie esigenze. Scusi, presidente dei bersaglieri, a me e alla patria cosa ha dato la naja se non una grandissima rottura di coglioni? E lei, con Salvini, la vorrebbe riproporre? Che senso avrebbe? La macchina militare è una gigantesca struttura burocratica che sfrutta la buona volontà dei giovani allo scopo di autoalimentarsi. Non ce l' ho con i soldati, tra cui ho avuto molti cari amici, ma sottolineo che la leva era una boiata e sarebbe assurdo fosse di nuovo rimessa in piedi. Io buttai nel cesso 15 mesi della mia vita, studi interrotti e fatica sprecata. Non so se Salvini sia stato reclutato, non credo, ma gli chiedo di lasciar perdere questa fregnaccia che costringerebbe tanti giovanotti a sprecare tempo, il loro. di Vittorio Feltri

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