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Marco Travaglio, Filippo Facci: chi si schiera con lui sulla prescrizione? Pochi nomi che dicono tutto

Giulio Bucchi
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Badateci, nella vicenda «prescrizione» si capisce già tutto dagli schieramenti residualmente rimasti in campo: basta guardarli e non c' è neanche bisogno di leggere o ascoltare. Da una parte - ma non ci interessano, ora - ci sono quelli che trattano il tema prescrizione come se fosse un tema qualsiasi tra quelli che possono mettere in crisi un governo, e sono coloro che non capiscono, cioè, che la carne al fuoco - l' influenza complessiva del disastro-giustizia sulla vita civile e sull' economia - vale più di un paio di finanziarie e soprattutto vale più di questo governo bicefalo. Dall' altra parte è il caso di osservare chi è rimasto sulla torretta a difendere la cosiddetta riforma Bonafede, e, nel facile censimento, ci soccorre un editoriale del solito giornale stile Rebibbia chiamasi Fatto Quotidiano: «Bonafede, Davigo, Gratteri, Di Matteo, Scarpinato e pochi altri», si legge, quando dei «pochi altri» non si ha notizia altrimenti li avrebbero scritti. Ecco dunque il primo schieramento a disposizione di chi abbia gli strumenti conoscitivi, culturali e mnemonici per valutarlo, ripetiamo: Bonafede, Davigo, Gratteri, Di Matteo, Scarpinato e aggiungiamo Marco Travaglio, lo scriba del gruppo nonché autore dell' editoriale. Ecco i garanti. Ecco la squadra che, portata in groppa teoricamente da un governo in carica, in Italia dovrebbe rappresentare virtualmente una «maggioranza». Bene, ora passiamo al resto del mondo, sempre aiutati dal citato editoriale che in pratica si è messo nel sacco da solo. Chi sono gli altri? Chi sarebbero coloro che si schierano «dalla parte dei colpevoli impuniti»? È presto detto: tutti. Tutti quelli che non sono «Bonafede, Davigo, Gratteri, Di Matteo, Scarpinato e pochi altri». E il Fatto Quotidiano li elenca pure: sono «i principali quotidiani» (tutti tranne uno, indovinare quale) scritti da coloro che vengono definiti «orecchianti» forse perché non hanno un Davigo a cui telefonare tutti i giorni; poi ci sono tutti i partiti (tranne uno, indovinare quale) ma sin qui è la lagnanza quasi ordinaria di chi si ritiene depositario della verità manettara da circa trent' anni.  Leggi anche: "Renzi fa sul serio". Cosa sa Senaldi: sulla prescrizione cade Conte? I conti non tornano - Quindi vediamo gli altri. Ci sono «i settori più oltranzisti dell' avvocatura» (cioè tutti, ma non potevano certo scrivere «tutti») ossia «la parte meno professionale e piu parassitaria della categoria» (s' intende tutti, ma non potevano eccetera) cui Il Fatto pone la domandona finale: «Se i processi durassero meno, quanti dei 180 mila avvocati italiani resterebbero disoccupati?». Mah, chissà: forse tutti, ma non potevano certo eccetera. Poi chi c' è? Meglio: chi abita il fosco pianeta che esclude solo i benemeriti «Bonafede, Davigo, Gratteri, Di Matteo, Scarpinato e pochi altri», gli ultimi riformisti competenti ed equilibrati che ci restano? Colpo di scena: ci sono pure «dei magistrati, per fortuna minoritari» (non potevano certo scrivere che erano maggioritari) tra i quali «ci sono sacche di resistenza al nuovo, che significherebbe lavorare di più e più onestamente, mentre la prescrizione è un ottimo rifugio per le toghe fannullone e anche per quelle colluse e corrotte». E qui - nota a margine - c' è un mistero algebrico: se da una parte ci sono «Bonafede, Davigo, Gratteri, Di Matteo, Scarpinato e pochi altri», e dall' altra «dei magistrati, per fortuna minoritari» che sono fannulloni e corrotti eccetera, i magistrati maggioritari dove sono? E che cosa dicono? Chissà, forse sono quelli che sabato ascoltavano le parole del primo presidente della Cassazione o quelle del Procuratore Generale di Milano, ma non sappiamo: il cancelliere, sul Fatto, si limita a liquidarli come «magistrati di chiara fama e fame», ergo - come per il significato della battuta - rimane il mistero. Ed è un bel mistero, e se non lo risolviamo c' è il rischio di concludere che a non condividere la blocca-prescrizione tu guarda: forse è proprio la parte maggioritaria della magistratura che manca all' appello (sinché non aboliranno anche l' appello) e che beninteso esclude «Bonafede, Davigo, Gratteri, Di Matteo, Scarpinato e pochi altri». Toghe stanate - C' è il rischio che il pasticcio della blocca-prescrizione abbia finalmente stanato la magistratura (maggioritaria) non tanto e solo sulla prescrizione, ma su tutto quel disastro totale che è la giustizia italiana: «Ferma è la convinzione che sia la conformazione del giudizio penale a dilatare oltremodo i tempi processuali», ha ammesso l' altro giorno uno dei citati magistrati di chiara fama e fame (ah ah) che peraltro ha aggiunto, non bastasse, che occorre intervenire «non solo nella parte del processo successiva al primo grado, ora non più coperta dalla prescrizione, ma soprattutto nelle fasi dell' indagine e dell' udienza preliminare in cui si verificano le maggiori criticità che determinano la dispersione dei tempi e la maturazione della prescrizione». Incredibile, le stesse parole dei penalisti, pardon: della «parte meno professionale e più parassitaria della categoria». Insomma: i migliori - non stiamo a ri-citarli - combattevano una battaglia e ora rischiano di perdere una guerra. Quella dell' immagine, di sicuro. Anche perché il quadro è questo qui: da una parte ci sono i «Bonafede, Davigo, Gratteri, Di Matteo, Scarpinato e pochi altri», dall' altra il resto del mondo. Precisiamo: da una parte ci sono quelli lì, dall' altra ci sono quelli che hanno ragione. di Filippo Facci

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