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Arriva Fassina:insulti e spintonidagli operai

Matteo Legnani
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E' arrivato con la sua bella camicia bianca di bucato e la giacchetta tenuta sportivamente sulla spalla. Ed è stato respinto a insulti, spintoni e sputi. E' finito così l'incontro tra il responsabile economico del Pd Stefano Fassina e gli operai dell'Alcoa che stanno manifestando a Roma contro la chiusura dello stabilimento sardo. Fassina, chiamato anche "mister patrimoniale" per le sue idee sull'uscita dalla crisi, stava rilasciando un'intervista a pochi passi dal corteo dell'Alcoa davanti al Ministero dello Sviluppo, quando è stato notato da alcuni manifestanti che gli si sono avvicinati con fare tutt'altro che pacifico. Urla, insulti ("bastardi, ci avete deluso", "vai a casa buffone"), spintoni, finche è dovuta intervenire la polizia per sottrarre il malcapitato Fassina alle ire degli operai. Operai-Casta: 1 a 0. Pd miope - Il segretario generale dell'Ugl Giovanni Centrella ha espresso "solidarietà" al responsabile democratico, mentre gli organizzatori del corteo hanno precisato di aver allontanato dalla manifestazione gli autori dell'aggressione. "E' dura, mentre parlavo un gruppetto di lavoratori è stato piuttosto aggressivo, altri mi hanno scortato fuori dalle transenne", ha ricostruito l'accaduto Fassina ribadendo però che "il Pd c'è, è l'unico partito che c'è e si prende responsabilità non sue ma di chi ha governato fino a 7-8 mesi fa". E' proprio questo il guaio degli operai del Sulcis: il Pd c'è e continuerà a fare le poltiche sbagliate. Perché se lo sviluppo dei democratici passa per un'industria, come quella del carbone e dell'acciaio, costantemente in perdita, i sardi possono dire addio alla propria regione. Economicamente, certo (disoccupazione in aumento, nessun vero sbocco lavorativo), e dal punto di vista ambientale visto che l'area di Portovesme è la più inquinata di tutta l'isola con gravissimi danni per Carloforte e San Pietro. Le furbate degli americani - "Americani di merda" c'è scritto su alcuni striscioni degli operai sardi giunti a Roma. L'idea più diffusa tra i lavoratori, oltre alla rabbia contro i partiti e il governo, è che alla base della probabile chiusura dell'impianto di Portovesme ci sia la spregiudicatezza dell'Alluminium Company of America, l'Alcoa, il terzo gruppo mondiale dell'acciaio con 61mila dipendenti, un fatturato da 25 miliardi di dollari e 614 milioni di utili nel 2011 (in crescita rispetto al 2010). Nel 1995 l'allora Alumix, di proprietà del carrozzone statale Efim, venne venduta proprio agli americani nel piano privatizzazioni del governo di Lamberto Dini. In cambio dell'impegno a mandare avanti l'impianto e garantire l'occupazione in un'area giù fortemente in crisi, lo stato ha garantito aiuti per 3 miliardi di euro in 15 anni. Tra 2006 e 2009, poi, l'Alcoa riceve aiuti sotto forma di bollette energetiche scontate: 172 milioni di euro nel 2006, 158 nel 2007, 210 nel 2008 e 16 fino al 31 gennaio del 2009. Aiuti che per la Commissione europea sono illegittimi con tanto di multa da 295 milioni di euro. Per questo, e per la non più sostenibilità dell'impianto italiano, gli americani decidono di lasciare la Sardegna con un anno d'anticipo rispetto alla promessa fatta nel 1995 al governo italiano: restare fino al 2014. L'Alcoa aprirà uno stabilimento in Arabia Saudita (investimento di 11 miliardi di dollari) e la scorsa primavera conferma: Portovesme chiude il 31 ottobre o, in presenza di potenziali acquirenti, il 31 dicembre 2012. Cronaca di una morte annunciata.  

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