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Enrico Cuccia, quella lettera segreta a Carlo De Benedetti: "Valeva la pena rischiare i soldi degli altri?"

Andrea Tempestini
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Un vecchio carteggio tra il banchiere più potente e misterioso d'Italia, ossia Enrico Cuccia, e l'imprenditore che all'epoca delle missive si identificava quasi esclusivamente con Olivetti, ossia Carlo De Benedetti. Una serie di lettere inedite che Paolo Bricco cita nel suo libro, L'Olivetti dell'Ingegnere, editore il Mulino, e di cui dà conto il Corriere della Sera. Si tratta di lettere in cui Cuccia non si esimeva da giudizi anche molto duri sull'operato dell'Ingegnere. Riavvolgiamo il nastro fino al 28 novembre 1996, quando CdB inviò a Cuccia la relazione alla Camera sullo stato disastroso del suo gruppo. L'oggi editore di Repubblica, si respira dalle righe, cercava una sorta di assoluzione dal più importante banchiere d'Italia, da uno degli uomini più potenti e riservati della prima Repubblica. De Benedetti scrive che "molta disinformazione è stata pubblicata sulla stampa italiana ed estera, e molti attacchi immeritati sono stati fatti all'azienda". Quella frase... - La risposta di Cuccia arriva pochi giorni dopo, il 5 dicembre. E ad assolvere l'Ingegnere dei fiaschi non ci pensa neppure. Mister Mediobanca, l'uomo che veniva identificato con la finanza italiana tout-court, non riconosce a De Benedetti alcun merito, e anzi boccia sonoramente il suo tentativo di ricostruzione, mettendo nel mirino il primo salvataggio della Olivetti, dopo la morte di Adriano. Nelle lettere entra si parla anche di Bruno Visentini, l'uomo che con il placet dello stesso Cuccia accompagnò CdB nella sua ascesa ad Ivrea, e secondo Cuccia è "l'amico Visentini" ad avere il merito di quello che l'editore di Repubblica ha sempre rivendicato, ossia la prima macchina elettronica al mondo. Ma l'attacco più duro non è questo. L'attacco più duro sta tutto sta in una frase. L'Olivetti sta per implodere, e così Cuccia, allora 89enne, chiede "se valeva la pena assumere taluni rischi in cui sono stati profusi, e bruciati, ingenti capitali. Ella - si rivolge a De Benedetti - è proprio sicuro che il coraggio è sempre un buon consigliere, specialmente quando si rischiano, oltre ai propri, i soldi degli altri?". Frecciate - Una sonora bocciatura, scritta con lo stile paludato e tagliente che di Cuccia fu il marchio di fabbrica. La storia di Cuccia e De Benedetti, d'altronde, s'intrecciava da anni. CdB, infatti, fu aiutato da Mediobanca, per poi smarcarsi dall'istituto e, successivamente, vedersi costretto a tornare a bussare mestamente all'istituto per provare a salvare il salvabile. E in quella frase di Cuccia, in quella lettera, il banchiere sembra proprio voler rinfacciare all'editore di Repubblica i suoi errori. De Benedetti, a sua volta, replica ricordando a Cuccia che le banche italiane, Mediobanca in primis, non avevano creduto all'informatica italiana. Un'altra stoccata, insomma. Una serie di frecciate che si aprono e si chiudono con "viva cordialità", che viene espressa in calce ad entrambe le lettere.

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