Marco Travaglio demolito da Filippo Facci: "Attacca i politici che lo evitano in tv? Faceva lo stesso con me"
Marco Travaglio, ieri, ha scritto un editoriale in cui dice alcune cose vere prima di incappare in qualche contraddizione: è il caso di farla notare, visto che riguarda lo stato della democrazia giornalistica. Travaglio parte da un'evidenza vecchia ma riaggiornata: il modo di comunicare dei nuovi governanti (i grillini, più dei leghisti) i quali sinora si sono sottratti ai confronti televisivi e preferiscono monologare coi social o in «finte interviste» con Barbara D'Urso, le definisce. In sintesi: nessun politico - dice Travaglio - può essere obbligato a mischiarsi con certi pollai televisivi che sono popolati da figuranti morti di fama che bivaccano in tv da mane a sera; nessun politico, poi, può essere interdetto dal comunicare come ritiene sui social media: purché non si limiti a quello, sennò è uno che parla da solo senza possibilità di replica. Poi Travaglio racconta delle tante volte che dei politici, in passato, hanno respinto degli inviti televisivi solo perché c'era lui, salvo magari richiedere un dibattito con lui quando volevano creare un «evento». Immodestia a parte - osservo - è tutto verissimo: anche perché un politico troverà sempre un altro conduttore pronto a stendergli passatoie con domande ammaestrate e interlocutori senza unghie. Aggiungo però un paio di cose. Una è che certi giornalisti italiani sono un po' atipici, perché sono editorialmente sovrapponibili ai politici per faziosità e, dunque, invitarli è come invitare un esponente di partito. Esiste poi la possibilità che un politico non voglia confrontarsi con un certo giornalista perché lo considera un cretino, cioè uno che ambisce perlopiù a far casino per finire su YouTube: non è che ne manchino. Leggi anche: Travaglio, l'ordine al M5s: "Berlusconi? Fatelo fuori così, per sempre" PROCACCIATORE DI OSPITI Un problema è anche la proliferazione di talk-show: una volta feci scalpore calcolando che il palinsesto Rai-Mediaset-La7 necessitava di circa 65-70 ospiti «politici» nel giorno medio (esclusi telegiornali o programmi d'altro genere) e che il procacciatore di ospiti era divenuto un mestiere usurante da segnalare all'Inps, anche perché doveva tener conto dei complicati veti incrociati dei conduttori (chi va ospite da Tizio non può andare da Caio) e appunto anche degli ospiti (se invitate Caio io non ci vengo). Ma la cosa peggiore è che è tutto finto: i vari ospiti magari s'incazzano professionalmente in diretta, ma, se rimangono incazzati anche a telecamere spente, allora ecco, vengono considerati dei marziani asociali: non si contempla - la cosa mi riguarda - che qualcuno possa credere in quello che ha detto e che a fine talkshow non abbia nessuna voglia di attavolarsi per ordinare un'amatriciana con chi abbia accusato delle peggio cose. Personalmente tendo a evitare il pollaio televisivo anche per questo. Quanto a Barbara D'Urso, le sue interviste, ormai, non sono diverse da quelle fatte da tanti professionisti dell'informazione: il problema non è che Barbara D'Urso fa interviste come le fanno i giornalisti, ma che i giornalisti fanno interviste come le fa Barbara D'Urso. Ma queste sono cazzate: il problema è che i veti di cui parla Travaglio (se c'è lui non vengo) non solo erano presenti anche in passato, ma hanno riguardato personaggi anche a lui vicini (editorialmente e politicamente) e financo lui, Travaglio: il quale, se ben ricorda, per molto tempo non ha presenziato a programmi televisivi laddove ci fossi io. DUE PESI DUE MISURE Insomma, due pesi e due misure: ricordo quando il Fatto Quotidiano si scandalizzò in prima pagina perché Renato Brunetta aveva detto «o me o lui» dopo aver saputo che nello studio di un talk-show c'era anche Gianni Barbacetto. Bene: a me è sempre capitato con eroi già cari al Fatto Quotidiano: Di Pietro per anni mise una pregiudiziale nei miei confronti, poi la tolse e poi ancora la rimise, boh. Piercamillo Davigo, anni fa, a Cortina, accetto di partecipare alla presentazione di un libro di Marco Travaglio a patto che fosse disdetto l'invito per me: e Travaglio non ebbe niente da ridire, anzi, disse che Davigo ne aveva diritto perché in precedenza mi aveva querelato; una scusa, visto che poi Davigo ebbe ad accettare confronti con gente che parimenti aveva querelato. Ho avuto, poi, qualche problema con Antonio Ingroia (risolto grazie a intercessioni amicali di un collega) ma chissà di quanti episodi non sono venuto a sapere: non a caso alcuni giornalisti, con certi ospiti, non capitano mai. Ora non so, ma lo stesso Marco Travaglio aveva messo una pregiudiziale nei miei confronti, dicevo, e una volta pretese addirittura che delle interviste registrate e separate, fatte a me e a lui, non venissero neppure affiancate e trasmesse durante un telegiornale. Peraltro lo accontentarono. Cazzate anche queste? Sì, se paragonate al problema di oggi: i grillini. Che poi non è di oggi: già a inizio 2014 il signor Rocco Casalino fece sapere a Nicola Porro (che allora conduceva Virus su Raidue) che nessun grillino sarebbe intervenuto in trasmissione se ci fossi stato io come previsto. E andò così: io andai, loro disertarono. Ricordo che Porro si rivolse al presidente della Commissione di Vigilanza Rai, un certo Roberto Fico del Movimento Cinque Stelle, e gli chiese se fosse giusto che un programma del servizio pubblico dovesse subire delle censure sugli ospiti giornalistici in funzione degli umori del giro grillino: un po' come ha detto anche Gaia Tortora su La7 nei giorni scorsi, a margine di alcuni ostentati dinieghi governativi. VETI PER TUTTI Ma non è solo una questione ombelicale che riguardi Travaglio o me: soprattutto me, che della Tv me ne strafotto perché spesso preferisco vivere. Non esiste, semplicemente, che un singolo soggetto e dei parlamentari Cinque Stelle, di regola, non possano comparire in nessuna trasmissione tv (insieme) perché un minus habens come Rocco Casalino decide così. Casalino è il «responsabile per la comunicazione» e ha sempre deciso sui grillini richiesti dai talk-show (stupisce che i vari grillini obbedissero tutti come servi) anche se è sempre stato un pupazzo, uno che ogni minuto relaziona a Beppe Grillo: e spesso i veti hanno riguardato anche altri, da Vittorio Sgarbi ad Alessandro Sallusti, da Claudia Fusani a sempre nuove entrate. È un pasticcio da cui solo una schiena improvvisamente dritta dei conduttori tv può cavarci. E non dite che è un problema da poco: per incredibile che sia, questi sono al governo. Non è che i vari conduttori non conoscano il problema, anzi: ma in pratica fanno spallucce, e se l'andazzo non cambia sarà anche ora di fare nomi e cognomi. Cioè: in serata telefona uno come Casalino e preclude le ospitate a pochi minuti dalla messa in onda, o chiama per dire che tizio non verrà a meno che sia da solo. Follia. Nel panico, la mia categoria ha la spina dorsale di gomma, e acconsente. È la stessa categoria che magari rompe le palle su Barbara D'Urso perché non avrebbe un curriculum giornalistico, ma poi tollera che il confronto democratico sia giostrato da un pompato che faceva i trenini di Buona Domenica e che si è formato nella scuderia di Lele Mora. di Filippo Facci