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Patata bollente, l'Ordine dei giornalisti censura Libero per compiacere i potenti

Davide Locano
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Il tribunale di Milano ha confermato la condanna dell'Ordine dei Giornalisti lombardo a Libero, e a me in quanto direttore responsabile, per l' ormai celebre titolo del febbraio 2017 «Patata Bollente» riferito alle svariate disavventure del sindaco di Roma, Virginia Raggi. È una pagina nera del giornalismo, non per la sorte della mia trascurabile persona, ma per il principio che passa. Un politico che trascorre la vita in vacanza, Alessandro Di Battista, può accusare i giornalisti di essere delle «putt***», fare una lista pubblica dei buoni e dei cattivi, a seconda di chi lo incensa e di chi invece lo critica, inventarsi reporter e continuare a scrivere sulle nostre gazzette senza che l' Ordine batta ciglio. Viceversa, un direttore, professionista di lungo corso, non può definire uno dei peggiori sindaci che l' Italia ricordi una «patata bollente», ovverosia una grana per sé, il proprio partito e la propria città. I grillini, dei quali la Raggi, sindaca di Roma, è il biglietto da visita nel mondo, possono fondare un Movimento basato sul «vaffanculo» come slogan e unico principio guida, e nessuno li accusa di sessismo nei confronti dei gay, mentre il mio tubero fumante è trattato dai tribunali come la più scabrosa delle illazioni. Leggi anche: Pietro Senaldi: "Cosa penso della mia condanna" Il nostro Ordine sta facendo con i politici quello che essi hanno fatto con la magistratura: piega il ginocchio, media, non difende la categoria, arriva ad autoprocessarsi pur di compiacere. I politici si consegnarono ai giudici per regolare le loro lotte personali, cavalcando inchieste che si sono poi risolte in nulla, con il risultato che ora contano quanto il due di picche a briscola fiori e sono disprezzati dalla società, che premia una forza il cui slogan è «uno vale l' altro». Noi giornalisti, come Ordine, stiamo diventando i cani da guardia del potere. Azzanniamo i colleghi per le loro opinioni, anziché se scrivono balle o sono troppo servili. Non so dove si illuda di portare la categoria chi ha deciso di imboccare questa strada che sfocia nel suicidio. Approfitto del verdetto per tornare a specificare che, secondo l'opinione di Libero, e per lo Zanichelli, «patata bollente» ha un unico significato in italiano: «Rogna, problema da risolvere». L' Ordine non lo sa, o finge di ignorarlo, e la Raggi con esso. Sono convinti che voglia dire «donna facile», anche se, nelle centinaia di modi che la lingua italiana e i suoi dialetti si sono inventati per indicare una signora dal fare mignottesco, tale espressione non figura. Morale: loro hanno un' opinione tecnicamente sbagliata e condannano la mia, che è corretta, in base a quel che pensano loro anziché a quel che intendevo io. Equivocano le mie parole, ne artefanno il senso in base al proprio comodo, e mi giudicano. Evidentemente i miei colleghi, pur non condividendomi, mi sovrastimano. Mi hanno attribuito perfino la capacità di cambiare la semantica, dando a un' espressione secolare un senso che, prima che la scrivessi io, non aveva mai avuto. La cosa mi consola. Se verrò radiato, ho un futuro assicurato all' Accademia della Crusca. Chiederò all' Ordine la lettera di raccomandazione. Al mio professore di italiano del liceo verrà un colpo, ma chi se ne importa, già gliene ho inferti tanti. NESSUN SESSISMO Al titolo di Libero è rimproverato anche di essere sessista. Mi sono andato a cercare il significato della parola sul dizionario, nell'illusione che esso abbia ancora un peso nella lingua italiana superiore all' opinione di gente ignorante. La definizione è: «Chi discrimina in base al genere sessuale». Così ho scoperto che il sessista non sono io ma coloro che, a torto, mi accusano perché ritengono che «patata bollente» stia per marchettara. Chi lo pensa è il vero maschilista, perché dimostra di ritenere implicito che a prostituirsi siano solo le donne, quando invece è un' attività che prescinde dal genere sessuale e che caterve di politici e giornalisti, maschi e femmine, svolgono con trasporto a ogni utile occasione. Ho visto che la mia condanna è stata accolta con entusiasmo da molti su internet e colleghi da Oscar, affetti da pseudologia fantastica, sui quali tengo la bocca chiusa per pietà, mi hanno fatto la morale in radio. Chi se la sente, festeggi pure. Certo, la sentenza non fa della Raggi un buon sindaco né di Roma una città ben amministrata. Che la si ritenga patatona, nel senso di imbranata, o patatina, nel senso di appetibile, Virginia resta una grana per sé e per chi è governato da lei. I romani soffrono, ma almeno hanno il peccato originale di averla votata; io, che ho mostrato che la regina è nuda, che colpe ho? LA PROFESSIONE Ieri sul verdetto mi ha intervistato Maria Latella, su Radio 24, che ringrazio per l' occasione. Non era dalla mia parte ma è stata garbata e professionale come sempre. Abbiamo inscenato un siparietto sulla nostra professione e su che ne sarà e lei ha sostenuto che il giornalismo resisterà finché i giornalisti se ne fregheranno dei potenti e di chi vuol tappare loro la bocca. Condivido. Ma se io avessi osato dire «me ne frego» di fronte alla sentenza sarei stato immediatamente sulla rete accusato di essere un fascista perché lo diceva Mussolini, anche se io sono nato 25 anni dopo la sua morte. Forse qualcuno avrebbe fatto un esposto e l' Ordine sarebbe stato, suo malgrado, costretto a processarmi. C' è chi può dire «me ne frego» e chi no. Anche questa è la nuova democrazia della stampa, bellezze. Per inciso, Patata Bollente è anche un vecchio film, in cui Renato Pozzetto ha un ospite imbarazzante in casa che si invaghisce di lui e non sa come dirlo alla fidanzata. L' ospite era Massimo Ranieri e la patata bollente quindi era un uomo e non una donna; alla faccia di chi mi dà del sessista. di Pietro Senaldi

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