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Bernardo Bertolucci, il comunista che sussurrava ai fighetti

Matteo Legnani
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Il cinema era «come una bomba molotov» e la macchina da presa «come una mitragliatrice». Di Bernardo Bertolucci, del nostro Godard afflitto da complessi di colpa, del regista scomparso a 77 anni dopo lunga malattia, la sinistra dura e pura ha spesso ricordi, oltre che del genio, delle sue frasi incendiarie, come quella sul potere dinamitardo del grande schermo. O come quella, snobbissima, sul fascismo ontologico dei popoli rilasciata a Wired: «Sì, penso che l' uomo medio sia fascista. Tutti i miei personaggi sono persone normali che sono consapevoli di essere mediocri e si sentono a disagio rendendosene conto». Ma Bertolucci era un compagno dall' ideologia ondivaga. Muoveva la propria arte seguendo il metronomo del comunismo italiano. Era un eversore, ma solo sulla carta. Agli inizi Bertolucci era attraversato dal fremito della Nouvelle Vague pura: era convinto che il cinema non dovesse trattare la politica, ma che fosse esso stesso politica. Sicché, ad esempio, affermava del suo film d' esordio, Prima della rivoluzione che fosse «l' educazione sentimentale e politica di un giovane parmigiano, che ero io e rifletteva il disagio di trovare il Pci riformista: era il 1964. Il film uscì in ritardo in Francia, nel 1968: fu un grande successo, era in perfetta sintonia con gli slogan del Maggio francese». E lì Bernardo seguiva la lezione assai fighetta e inebriante di Sartre: «Quando ho cominciato ero così coinvolto che stupidamente chiedevo ai giornalisti italiani di fare le interviste in francese! La commedia all' italiana allora mi faceva schifo, mi sembrava decadimento, solo più tardi ne ho capito l' importanza. Allora ero arrogante, fazioso e giovane. Però trovo ancora difficoltà a collocarmi nel cinema italiano. Alla fine degli anni '60 io, come altri, avevamo il problema dell' espressione, non quello della comunicazione. L' unico modo di pensare al pubblico era quello di ignorarlo». E lo fece, ignorò il pubblico. Al contrario del suo maestro Pier Paolo Pasolini il quale, nelle sue carrellate e nei suoi primi piani, voleva raccontare la storia a consumo del popolo. Cambio di rotta - Dopodiché, con Novecento, del '76, il maestro cambiò rotta. Giudicò la prima fase cinematografica della sua vita quelle dei «crimini del passato»; e pur marciando sempre nel territorio della sinistra, rese, attraverso una rappresentazione elegiaca ma crudele, l' idea molto poco garbata dell' antifascismo e del "secolo breve". Cosa che gli procurò il plauso del giovane cinephile Ingrao, ma non quello dei "vecchi" Pajetta e Amendola per i quali era impossibile mescolare la storia della Liberazione con le allegorie (come l' amicizia tra De Niro e Depardieu, nel contadino e proprietario terriero). E, dal quel momento, il cineasta conquistò i cuori dei nuovi riformisti alla Veltroni che diverranno, in seguito, i padroni del partito. Verso la fine degli anni '80 Bertolucci accompagnò il disgelo e la glasnost con un film buddhista disseminato di Oscar e in parte critico contro il Partito Comunista cinese: L' ultimo imperatore. E, pur continuando a considerare gli anni '60 «i migliori della sua vita», nel 2003 con The Dreamers - I sognatori, storia parigina di un claustrofobico triangolo amoroso (mentre, fuori, infuriava il maggio francese), mise una pietra tombale sulla sua generazione. E ciò, nonostante, dalle sue transumanze francesi, egli continuasse a firmare manifesti d' azione intellettuale, venendo indicato come il più rivoluzionario dei maître à penser. Il fratello - Però, a differenza del più sottovalutato e militantissimo fratello Giuseppe - che su commissione del Pci nell' 80 girò l' inchiesta interna Panni sporchi e, tre anni prima Berlinguer ti voglio bene con Benigni - Bernardo indicava col ditino la via della rivoluzione, ma poi tendeva a farla fare agli altri. Era geniale sì, ma con un' umanità piena di buchi di sceneggiatura. Nel 2013 confessò il suo disprezzo per le donne, mentre imburrava una tartina a colazione chiede a Marlon Brando sul set di Ultimo tango a Parigi di sodomizzare in modo realistico l' esordiente Maria Schneider, segnata per la vita da quella esperienza. Bernardo dichiarò a Repubblica: «Abbiamo deciso di non dire niente a Maria per avere una reazione più realistica...E lei reagisce: piange, urla, si sente ferita. È stata ferita perché non gli avevo detto che ci sarebbe stata questa scena di sodomia e questa ferita è stata utile al film. Non credo che avrebbe reagito allo stesso modo se avesse saputo quello che le sarebbe successo. Forse sono stato colpevole per Maria Schneider, ma non potranno portarmi in tribunale per questo». Infatti la sfangò. Allora la sua sinistra, soprattutto, le femministe, tacquero. Non so se oggi come il movimento Metoo reagirebbe a - diciamolo - una tale bestialità. Con quel suo gesto, Bernardo tradì tutti gli ideali del padre Attilio, poeta, intellettuale della borghesia agraria anni '30, uomo dallo spiccato rispetto umano. E non fu un gesto di sinistra, tantomeno rivoluzionario. Bertolucci fu un artista di genio, seppur ad intermittenza. E lo ricorderanno come un grande. Perché, per il resto, le ombre della storia raramente s' allungano sui grandi; e dei grandi intellettuali gli epitaffi hanno sempre valore retroattivo. di Francesco Specchia

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