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Ernesto Galli della Loggia: "Non mi importa se mi danno del reazionario, tra dieci anni mi daranno ragione"

Cristina Agostini
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«Delle ultime puntate della commedia dei finti equivoci tra Di Maio e Salvini mi importa niente. Capisco che, in quanto italiano, sia rilevante anche per me dove va questo governo e come finirà la vicenda, ma non ho nulla in proposito da dire. Non sto a commentare o a inseguire l' ultimo tweet di nessuno». Vedo, in effetti ultimamente scrive sempre meno di politica, cosa stravagante per un politologo: non le interessa più? «Bisogna intendersi su cos' è la politica. Per me non sono le diatribe verbali a cui assistiamo tra Lega e Cinquestelle, quella è una parodia della politica e non merita analisi perché cambia di giorno in giorno, per poi non cambiare mai. Affrontare temi come la riforma della giustizia, il divario tra Nord e Sud, il crollo del sistema scolastico: questo dovrebbe voler dire occuparsi di politica. E i giornali potrebbero fare la loro parte». Colpa dei giornali se si parla troppo di politica e se ne fa poca? «I quotidiani si sono prima subordinati alla tv, e ultimamente anche a facebook e twitter: si limitano troppo spesso a ripetere le notizie dei tg o a rilanciare le dichiarazioni che i politici fanno sui loro social, ma così perdono importanza agli occhi dei lettori e dei politici stessi». Cosa dovrebbero fare invece? «Disinteressarsi delle esternazioni quotidiane dei politici, lasciandoli ai loro social e smettendo di appagarne la vanagloria, e invece iniziare loro, magari, a fare politica affrontando in chiave costruttiva i temi del Paese. Se cominciassero a farlo, i politici forse smetterebbero di tener conto solo della tv e tornerebbero a occuparsi di cose serie. Certo, capisco che è più semplice fare da megafono ai politici, ma alla lunga così si diventa marginali». In vacanza, nel giorno del suo settantasettesimo compleanno, il professor Ernesto Galli della Loggia trova ci sia poco da festeggiare a livello nazionale. Non ha fiducia in questo governo ma neanche in quello che verrà, qualunque esso sia. È annoiato dal dibattito politico e perplesso di fronte a un Paese che non pare interessato a guarire i propri mali atavici, ma neppure a lenirli, al punto che ormai non se ne parla neppure più, ci si limita a tirare avanti alla giornata. Non crede che i politici preferiscano facebook ai quotidiani perché così non sono chiamati a confrontarsi con un interlocutore? «In parte può essere così, ma sono convinto che i leader passino ore su facebook perché credono davvero che la politica si faccia in questo modo. È la sola cosa che in un certo senso hanno imparato fare, e la fanno ignorando che il Paese se ne va per i fatti suoi». E dove si sta avviando l' Italia? «Al declino, come si evince dai principali dati economici e sociali. Abbiamo ancora la mafia e la camorra, i nostri studenti sono poco preparati, ci trasciniamo mali secolari. Abbiamo perso troppi treni, specie negli anni Ottanta, quando le cose andavano ancora bene». Ma non declina tutta Europa? «Certo, dal momento che la storia è andata come è andata e siamo un continente diviso privo di alcun peso reale. Ma il declino italiano è particolare. Veneriamo la Costituzione per ragioni ideologiche anziché riformarla. Avremmo dovuto cambiare la forma di governo, non possiamo più avere il bicameralismo e una diarchia tra Palazzo Chigi e Quirinale di modo tale che ci ritroviamo poi premier per caso e solo di facciata come Conte. Anche la giustizia meritava una riforma capace di farle acquistare presso i cittadini il credito che aveva perduto e di fornire al Paese un servizio assolutamente essenziale». Lo scandalo del Csm ha assestato un colpo definitivo alla credibilità della magistratura? «La credibilità della magistratura era in caduta libera già da prima, e non potrebbe essere diversamente visto il cattivo funzionamento della giustizia stessa. Non esistono ospedali cattivi con medici rispettati, e così è per i tribunali». Colpa della politicizzazione delle toghe? «La politicizzazione esiste ma è cosa, credo, che interessa soprattutto una minoranza della popolazione. Alla maggioranza interessa di più avere un processo in tempi brevi, equo, semplice e poco costoso. Se non ce l' ha, è allora, semmai, che comincia a fare caso alla politicizzazione dei magistrati». Vuole anche lei la separazione delle carriere tra giudici e pm? «Vorrei soprattutto un maggior uso della giuria, che consentirebbe ai cittadini di essere giudicati dai propri pari e obbligherebbe i magistrati, io credo, a una modifica culturale dei propri comportamenti e del proprio atteggiamento, troppo spesso castale». Un argomento sul quale lei torna da tempo è la crisi dell' istruzione. Il suo ultimo libro in merito, "L' aula vuota" (Marsilio), è un atto d' accusa pesantissimo al mondo della scuola. Non ritiene di avere un giudizio troppo negativo? In fondo non facciamo che sfornare cervelli in fuga che fanno gola all' estero... «In ogni naufragio c' è qualcuno che si salva. Il fatto che abbiamo un certo numero di ottimi studenti che il nostro mercato del lavoro non sa valorizzare non cancella la realtà fotografata dagli ultimi test Invalsi: la preparazione media dei nostri ragazzi specie nel Mezzogiorno è penosa». Colpa dei professori? «No. Colpa soprattutto di 30 anni di riforme sbagliate che stanno dando i loro frutti. Non siamo riusciti a coniugare educazione di massa e scuola di qualità: l' equazione è fallita quando per motivi ideologici si è pensato che il punto decisivo fosse quello di "democratizzare" la scuola, di dare l' autonomia ai singoli istituti, e di rivedere radicalmente i programmi. E soprattutto che fosse una cosa molto progressista promuovere tutti». Allora è vero che lei è diventato un reazionario? «Non m' importa che lo si pensi. Mi limito a osservare che sono un reazionario le cui idee vengono ripetute dieci anni dopo dai progressisti». Questo significa che il mondo si sta spostando a destra? «Ma lo sa che questa è una tipica affermazione di sinistra?». Torniamo allora alla cultura: le celebrazioni per Camilleri le sono sembrate eccessive? «Siamo un Paese ammalato di retorica, specie quando c' è un morto di mezzo. Ho letto cose incredibili su Camilleri, tipo che sarebbe stato un maestro dell' umanità, che ha passato la vita a difendere i deboli e gli oppressi e così via con i voli pindarici. Non esageriamo, è stato un buon scrittore ma non era Tolstoj. Non mi meraviglierei se tra cinque anni nessuno si ricordasse più di lui se non come l' inventore di Montalbano. Siamo fatti così». SI è iscritto anche lei nel club degli anti-italiani? «Ho combattuto una vita contro questa espressione. Io sono italiano, come lei e come tutti, ahinoi. E non esistono italiani buoni e italiani cattivi, siamo tutti sulla stessa barca». Come si raddrizza questa barca? «Con serietà e realismo, due elementi che in questi decenni sono mancati a tutta la società italiana, non solo alla classe politica. La serietà ti impone di parlare solo di cose delle quali hai conoscenza e che misuri in base al risultato, non alla demagogia. Il realismo è il suo parente stretto e ti obbliga a restare con i piedi per terra e non proclamare ad esempio, neppure per scherzo, la fine della povertà». La società sta regredendo, con il ritorno a immense ricchezze e tragiche e sconfinate povertà? «Non esageriamo. La globalizzazione è stata criminalizzata ma ha causato un abbassamento del tenore di vita solo in Europa. In Africa e Asia essa ha contribuito a tirar fuori dalla povertà assoluta due miliardi di persone. La ricchezza mondiale è cresciuta, ma c' è più gente con cui spartire la torta». Il nostro anti-globalismo quindi è egoismo? «No, è la reazione a un fenomeno inevitabile che le nostre classi dirigenti non hanno saputo né capire in tempo né gestire. In particolare la sinistra non ha capito le gravi conseguenze sociali della globalizzazione sul mondo del lavoro e sulla localizzazione delle produzioni industriali. La mancata previsione e gestione di questi problemi ha gettato nell' incertezza e nelle difficoltà economiche un parte importante della popolazione europea e posto le basi del disordine politico attuale. Anche lo scontro sull' immigrazione è figlio di una serie di errori fatti a proposito della globalizzazione e del multiculturalismo ritenuto suo presunto, inevitabile effetto». L' immigrazione sta dilaniando il mondo cattolico. Papa Francesco è molto popolare, però le chiese continuano a svuotarsi e, tra chi ancora ci va, parecchi sono critici con il Pontefice dell' accoglienza «Il calo dei fedeli è dovuto soprattutto, io credo, alla secolarizzazione che colpisce tutte le società occidentali, non lo legherei specificatamente a questo papato. Francesco si è molto esposto sul tema immigrati, assumendo una posizione radicale sull' accoglienza; giocoforza è stato divisivo. Ma il tema per la verità prescinde dalla fede, tant' è che troviamo atei pro-accoglienza e cattolici contro l' accoglienza». Un cristiano non dovrebbe uniformarsi al pensiero del Pontefice? «Nello scontro sull' immigrazione non ci sono, a me pare, questioni religiose o teologiche in ballo. Esiterei molto a dire, ad esempio, che chi si oppone agli arrivi indiscriminati è un anti-cristiano. Il contrasto all' immigrazione indiscriminata è una questione molto importante che riguarda in special modo la vita quotidiana delle classi popolari di molte aree urbane del Paese. Come si fa a dire che chi vive nelle periferie e non vuole un campo rom vicino non è cristiano? Bisognerebbe trovarsi al suo posto e vivere le sue giornate per giudicare». La crescita di Salvini è dovuta alla posizione sugli immigrati «Non solo. È legata al fatto che il leader leghista riesce a intercettare e farsi paladino di temi forti legati ai problemi della gente. Questioni anche trasversali, tant' è che su sicurezza, pensioni e immigrati si è andato a prendere pure molti voti a sinistra». Viceversa, come spiega il tracollo di M5S lei, che è tra gli elettori pentiti della Raggi? «Le ragioni del mio pentimento sul voto romano sono intuitive. Più in generale, penso che i grillini stiano perdendo consensi perché hanno fatto troppe promesse senza combinare alcunché. Specie al Sud, la loro roccaforte, alla fine si è dimostrato che non avevano alcuna ricetta salvifica oltre al reddito di cittadinanza che peraltro non riguarda affatto solo il Sud. E poi M5S è stato surclassato mediaticamente da Salvini». Il governo è agli sgoccioli? «Chi lo sa? Lo spettacolo quotidiano è stucchevole. Ma personalmente sono arciconvinto che anche se dovesse cambiare il governo e subentrasse, per esempio, un esecutivo M5S-Pd, o anche un governo tecnico, in realtà non cambierebbe nulla. Dappertutto mancano visione, coraggio e strumenti culturali, in più non ci sono né le risorse né gli strumenti istituzionali per governare bene, a cominciare dalla macchina dello Stato che fa acqua da tutte le parti». E la sinistra come sta, gli serviranno vent' anni per risorgere? «Da quella parte non mi pare di vedere segnali confortanti. Anche lì il personale politico è in complesso quanto mai scadente. Direi che lo stato della sinistra ben riassume la crisi della classe dirigente politica e non solo politica nel suo complesso». Attualmente la sinistra sta cavalcando il Russiagate, ma la vicenda pare non fare breccia nell' opinione pubblica: come se lo spiega? «L' elemento giudiziario è abusato. Gli italiani sono saturi e poco propensi ormai a credere a inchieste e complotti. La nostra opinione pubblica è storicamente abituata da decenni a vedere i partiti che ricevono finanziamenti dall' estero, perché dovrebbe scandalizzarsi proprio ora? Siamo un Paese con scarso orgoglio nazionale e un passato in cui il denaro di provenienza dubbia e straniera ha costituito un presupposto tacito della nostra quotidianità democratica». di Pietro Senaldi

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