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Daria Bignardi, la figlia del fascio

Daria ha messo alla berlina il grillino con il papà camerata. Ma in famiglia...

Nicoletta Orlandi Posti
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Spericolata Daria Bignardi. Diciamo un pizzico imprudente nel tentare di inchiodare il grillino Alessandro Di Battista con la domanda delle domande: «Non prova imbarazzo ad avere un padre fascista?», come fosse lo scoop dell'anno e lui dovesse sprofondare in fondo allo studio sommerso dai fischi del pubblico de La7. Oddio, il quesito è lecito, visto che la conduttrice delle Invasioni Barbariche di mestiere fa la giornalista e il suo è un programma basato su interviste ai vari ospiti. Daria chiede, loro rispondono. Però sui parenti fascisti anche la signora Bignardi in Sofri offre spunti interessanti, non sempre comunicati con la stessa enfasi che mette quando vuole cogliere in fallo l'intervistato di turno.  «Non prova imbarazzo ad avere un padre fascista?», ha chiesto proprio lei, che nel libro dedicato alla storia della sua famiglia Non vi lascerò orfani (Oscar Mondadori) parla di un babbo bellissimo, che sembrava un attore, e che nel 1933 «a diciannove anni, partì per Genova come soldato volontario». Nel '35 era a Bengasi, in Cirenaica, poi lo mandarono in Eritrea e durante la guerra andò in Croazia. «Quando si parlava di Africa», scrive la Bignardi nel capitolo «Dante, Atala, il furentismo e la guerra d'Etiopia», «gli si inumidivano gli occhi». In fondo a pagina 133 il passaggio chiave, quello che la settimana scorsa, puntando il ditino da prof, tipo ora ti frego io, contro uno spiazzato Di Battista, Daria ha omesso di ricordare. «Mio padre era stato un fascista convinto, ma ripeteva frasi generiche come la guerra è una brutta cosa, oppure l'errore di Mussolini è stato quello di allearsi con Hitler ed entrare in guerra, senza mai dire niente di quello che in guerra aveva visto o fatto lui». Figlia di un fascista convinto, dunque. Forse nel frattempo se n'era dimenticata, ormai da tempo si parla più della sua parentela con Adriano Sofri (di cui è la nuora), ma certo ieri ci ha pensato il Fatto quotidiano a rinverdire l'albero genealogico della scrittrice emiliana. Finita nel mirino di Grillo, ma soprattutto bacchettata duramente, per via della vicinanza con il condannato per l'omicidio di Luigi Calabresi, dal comunicatore stellato Rocco Casalino, che sperava di trovare ancora una Bignardi amicona, versione Grande Fratello, e invece si è trovato la signorina Rottermeier dei talk show ed è caduto nel grande tranello dell'intervista barbarica sul genitore camerata del deputato grillino. «Luca Sofri le suggeriva le domande cattive da fare a Di Battista», è stata la denuncia coram populo dell'ex gieffino ora alla corte di Beppe, «da lei non me lo sarei mai aspettato e allora le ho chiesto cosa si prova ad avere come suocero un condannato a 22 anni come mandante per l'uccisione del commissario Calabresi».          Parentela per parentela, allora bisogna che la Bignardi rammenti al suo vasto pubblico che il cugino dell'amato nonno Dante era il poeta Corrado Govoni, autore prolifico di raccolte di poesie che hanno segnato la storia letteraria del primo Novecento, nonché di romanzi, prose liriche e testi teatrali. L'ex direttrice del mensile Donna ne va fiera fin da quando era bambina («mi vantavo con la maestra perché la mia scuola era intitolata proprio a lui») e all'illustre cugino dedica ben tre pagine del suo libro biografico. Di Govoni, a pagina 126, riporta addirittura la poesia intitolata Lo scricciolo, oltre a citare la raccolta che l'autore dedicò nel 1918 al nonno Dante. Inserisce, ovviamente, la lirica scritta da Corrado in morte del figlio Aladino, ucciso dai tedeschi nel 1944  alle Fosse Ardeatine «scolpita su una lapide posta vicino alla sua tomba nel cimitero di Ferrara». Insomma, gli episodi di Govoni ragazzo, quasi coetaneo di Dante, le loro cadute in bicicletta «o da un asino chiamato Ridolini» nella campagna di Castel Guelfo, non mancano nelle pagine della Bignardi.   Però, guarda caso, dei componimenti di Govoni su Mussolini non c'è traccia. Neanche una mezza riga sprecata per ricordare che il cugino del nonno ha composto, tra le sue innumerevoli opere, Saluto a Mussolini e Poemetto in lode di Mussolini. Titoli che fanno presumere una certa vicinanza con il fascismo allora imperante. Fu così. Govoni scrisse molte lettere al Duce, forse anche per costrizione ai quei tempi visto che doveva mantenere moglie e tre figli. Vergò lettere di supplica a Mussolini in cui chiedeva denaro, che sarà generosamente concesso, espose le sue difficoltà e le sue frustrazioni per non essere stato nominato nel ruolo di Accademico d'Italia e parecchie umiliazioni subìte. C'è un libretto a firma di Giuseppe Iannaccone, che ripercorre la storia del poeta Govoni, il suo rapporto stretto con Benito Mussolini («Eccellenza, se il Duce vuole aiutare ancora la mia poesia...»), la sua vicenda umana e intellettuale. Fino all'epilogo tragico dell'uccisione del figlio Aladino. Govoni è stato un poeta celebre della stagione crepuscolare-futurista, citato sia dai partigiani che dai fascisti, analizzato anche da Pierangelo Maurizio nel suo libro intitolato Via Rasella, 50 (70) anni di menzogne. Peccato che l'imprudente Bignardi, imparentata per via del nonno e figlia di un «fascista convinto», ricordi solo una parte. Prova forse imbarazzo?. di Brunella Bolloli

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