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Roberto Giachetti, da radicale a mezzo prete

 Un inedito Roberto Giachetti legge il Vangelo in pubblico

Cosa inaudita: perché il renziano meno cattolico legge ogni sera il Nuovo Testamento

Francesco Specchia
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L’iperlaico Roberto Giachetti che declama il Vangelo è una visione innaturale. E’ come se l’ultracattolico Giovanardi, vestito da templare, si mettesse a leggere un manifesto abortista sullo sfondo d’un cinema porno. O se il virologo Burioni organizzasse un raduno No-Vax, o Salvini aprisse un centro profughi.

Eppure, Giachetti, il rompiballe di talento, ieri era lì, piantato come un ulivo del Getsemani davanti alla chiesa romana di San Silvestro, a difendere la libertà di culto repressa dal Covid19. Dio, ancora non ci credo. I decreti di Conte bloccano la gente fuori dalle chiese mentre riorganizzano i supermercati e lo sport? Ecco che invece di un cardinale, di un funzionario dell’Agesci, di un militante di Comunione e Liberazione qualsiasi, be’, ti compare come araldo del Papa, Giachetti. Giachetti, ahò. Il mangiapreti, l’ex radicale cresciuto a pane e Pannella, abortista e divorzista, ora con mascherina in volto e sacre scritture in mano. E, la cosa ancora più incredibile è che indossava un completo impeccabile (da candidato sindaco di Roma l’outfit, il corredo istituzionale, non era il suo forte). Giachetti per qualche minuto s’è fermato sul portone di San Silvestro e aprendo un leggio immaginario, ha sgranato un brano del Vangelo secondo Matteo –“capitolo 22, versetti 15/22” e un altro, secondo Luca –“capitolo 24, versetti 13/35”. Cioè, rispettivamente, la famosa questione del tributo posta a Gesù Cristo –“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”; e l’episodio dei due discepoli intronati che incontrano il Messia redivivo e lo scambiano per un passante, dato che non pare avesse lo standing del leader. Chè, se vogliamo, nella sua perfida ironia, Giachetti, scegliendo le suddette letture, ci deve aver piazzato dentro un paio di metafore governative, di cui noi non avvertiamo il senso ma magari Conte -che poco lo tollera- sì. Giachetti leggeva mentre, da dentro la chiesa la perpetua faceva capolino sull’uscio, di colpo richiuso evidentemente per il timore di vedere Giachetti farsi strada sotto il pulpito a colpi di turibolo. Ripeto: osservare Giachetti in un atto eversivo da Sentinella in piedi, da guardiano dei valori cattolici, mi insuffla una certa inquietudine. Perché Giachetti lo fa? “Perché è una battaglia per i diritti. Non si possono privare le persone di diritti costituzionali sulla base di decreti del presidente del Consiglio: è assolutamente insensato, ingiusto, incomprensibile impedire manifestazioni di culto mentre, contemporaneamente, ci si organizza per entrare nei musei”, afferma Giachetti “l’ho fatto per i cattolici ma avrei potuto farlo per altre questioni”. Questo dice lui, il meno cattolico di un partito, Italia Vera, con le radici ne nello scoutismo e nel cattolicesimo da battaglia.  E, in verità, io mi sarei più aspettato, per una tale protesta, un Renzi vestito da lupetto incatenato al portone di Palazzo Chigi. Non Giachetti. Giachetti è uno che denunciava gli scandali del Vaticano, che mal tollerava l’influenza della Cei, che è arrivato perfino a richiedere il taglio del salario dei cappellani militari. Perfino i cappellani. Giachetti ora dice di combattere, da laico, per la Costituzione. Mentre i suoi detrattori insinuano che egli si butti sull’ennesima disobbedienza civile (“Autorità, venite a sanzionarmi”) per mettersi in mostra; e uscire dal cono d’ombra del partito, date alcune sue uscite contradditorie non passate inosservate come il “sì” al taglio dei parlamentari e poi l’annuncio del referendum contro lo stesso taglio. Probabilmente sono vere entrambe le interpretazioni del gesto.

Ma quel che conta è vederlo lì ogni giorno a leggere il Nuovo Testamento, sorta di Cireneo volontario che porta la croce a Conte. Forse con l’idea futuribile di dare una mano alla di lui crocefissione…

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