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Giovanni Minoli, la confessione spiazzante: "Ho previsto la morte di mio padre". Dici anni prima, quel libro

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Giovanni Terzi
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«Non dire parola oziosa; con ciò intendo, quando non giova né a me né a un altro, e neppure è diretta a tale scopo». Così citava Sant' Ignazio di Loyola, il religioso spagnolo fondatore della Compagnia di Gesù e dell'ordine dei gesuiti, negli esercizi spirituali volti a comprendere, meditando, contemplando e nel silenzio, la propria coscienza. Così come l'importanza della parola nella letteratura e, naturalmente, nell'informazione. Giovanni Minoli nasce all'interno di questo substrato culturale; da una parte, una famiglia borghese numerosa dove la disciplina e la democrazia erano centrali, dall'altra una formazione dai Gesuiti con cui dalla prima elementare ha costruito attraverso gli "esercizi spirituali" il proprio "io". «L'obbedienza insieme alla libertà sono stati sempre dei paradigmi della mia esistenza» inizia a raccontare Giovanni Minoli «sono nato da un padre, (Eugenio Minoli ndr), giurista ed esperto dell'arbitrato internazionale, che faceva della disciplina un obiettivo della formazione di noi sette fratelli».

Che famiglia eravate?
«Mia madre non è mai stata "mamma" ma esclusivamente moglie. Era ossessionata dal fatto che a papà potesse venire semplicemente un raffreddore».

Sette fratelli in un'unica famiglia sono difficili da gestire...
«Noi figli eravamo il prodotto, per mia madre, dell'amore nei confronti di mio padre e, mi creda, non c'è nulla di più difficile, complicato, che sopravvivere in famiglia».

E voi come avete fatto?
«Mio padre aveva inventato un regolamento per noi fratelli dove, democraticamente e attraverso delle vere e proprie votazioni si assumeva il comando per due mesi nella gestione del territorio familiare. Io ero il terzo dei fratelli e imparai subito cosa era il voto di scambio».

Ossia?
«Mio fratello Enrico prometteva il voto a mio favore ma poi, parlando con un altro mio fratello che gli regalava una macchinina, cambiava idea. È stata una vita molto dura dove se da una parte ho conosciuto la democrazia, dall'altra ho imparato la durezza dell'esistenza».

Eravate però una famiglia borghese e benestante...
«Sì ma vivevamo in un clima monastico. Il mio primo paio di calzoni che mi furono comprati nuovi, mi venne regalato a quattordici anni. Prima di quell'età ho sempre usato quelli dei miei fratelli più grandi».

Tutto questo fino a quando suo padre morì in un incidente stradale. Cosa ricorda?
«Ricordo tutto, avevo ventiquattro anni e mio padre sessanta. Arrivò una telefonata a casa e mia madre rispose al telefono. Si girò verso di noi e disse "papà è morto": papà si era schiantato contro un camion».

Fu un grande dolore?
«Immenso. Penso a mio padre ogni giorno e con lui ho costruito un dialogo profondo; è il mio interlocutore quotidiano. C'è un mistero in questa disgrazia accaduta a mio padre...».

Quale?
«Dieci anni prima avevo scritto un romanzo giovanile dove raccontavo la scena della sua morte. È qualcosa che mi porto ancora dentro come un dolore enorme».

È riuscito a superare quel dolore?
«Non penso ma ho conforto nel pensare che papà, da Cristiano convinto, abbia scoperto ciò che ci attende nell'aldilà».

E lei e cristiano?
«Aspirante cristiano».


Lei ha studiato dai gesuiti, che insegnamento le hanno dato?
«Un insegnamento coerente con la mia educazione familiare. Sant' Ignazio diceva "andate ed incendiate il mondo" e a me piace l'idea che non ci si debba fermare mai, così come di perseverare ed avere pazienza. I gesuiti mi hanno insegnato il senso del primato della cultura nella società così come il metodo di giudizio nelle mie azioni».

Come iniziò a lavorare in Rai?
«Fu nel '72 in una trasmissione che si chiamava Boomerang ed era una delle prime di economia: arrivai direttamente da Parigi dove avevo vinto nel '69 una borsa di studio della Fondazione Giovanni Agnelli. Così dopo un periodo alla École Haute Études con il Prof. Marcel David, ho completato la mia esperienza con uno stage all'Ufficio Studi delle organizzazioni sindacali francesi (CGT e CFDT) e all'Unione Industriali Francesi (Patron). Fu una esperienza importante perché aveva sia la parte teorica, con i sindacati, che quella pratica, con le aziende, dove potevo applicare i metodi di cogestione».

Lei ha rivoluzionato l'informazione in televisione attraverso programmi come Mixer. Quale fu la sua intuizione?
«Fui fortunato perché iniziai a produrre informazione in Rai in un periodo storico rivoluzionario. Era nata la televisione commerciale ed anche il telecomando. La televisione commerciale ampliava l'offerta televisiva e il telecomando permetteva di girare rapidamente canale. Inventai un palinsesto, con Mixer, dove ogni quindici minuti era la mia trasmissione che cambiava canale da sola. Era cambiato il ritmo in televisione e io l'avevo capito forse anche perché non provenivo dal giornalismo ed avevo così maggiore libertà di espressione».

Quali sono stati i suoi riferimenti tv?
«Sicuramente in America Dan Rather giornalista della CBS, mentre in Italia Sergio Zavoli».

In la storia siamo noi ha raccontato i più importanti fatti della storia contemporanea. Quali momenti le sono rimasti impressi?
«Quel programma era rivoluzionario perché trattavamo la storia come un giallo. Immagini che abbiamo raccontato 1200 ore di storia e prendemmo in America l'Oscar mondiale per il miglior progetto di divulgazione del mondo. Il mio braccio destro era Piero Corsini ed è stato decisivo nella costruzione di quel successo televisivo. Rispondendo alla domanda, un'intervista davvero importante fu quella con Steve Pieczenik, funzionario del Dipartimento di Stato degli Usa nell'epoca del rapimento e dell'omicidio di Aldo Moro, il quale nel 2013 raccontò in Rai come l'obiettivo degli Americani era quello di sbarazzarsi del leader Democristiano».

Intervistò anche Henry Kissinger...
«In quell'occasione il mio traduttore simultaneo mi raccontò che venne detto ad Aldo Moro di fare politica. Ricordo che il presidente della DC rimase turbato per molto tempo una volta rientrato in Italia».

Dopo le dichiarazioni di Steve Pieczenik cosa accadde?
«Nulla, come spesso in Italia siamo bravissimi a nascondere e far passare nell'oblio ogni cosa».

Secondo lei esiste l'informazione libera?
«In realtà non esiste "l'informazione" ma esiste chi informa. Così possiamo dire che ci sono uomini liberi e direttori meno liberi».

Da direttore generale di Stream ha finanziato il primo GF. Che esperienza fu?
«All'inizio era una sperimentazione sociologica. Feci fare un editoriale a Scalfari per far dire che era, il Grande Fratello, una metafora della vita. Dentro quella casa si svolgevano, in tre mesi, le dinamiche della nostra esistenza».

Ed adesso?
«Adesso è un'altra cosa».

Lei, insieme a Giorgio Gori, scelse Rocco Casalino. Come era?
«Come adesso: intrigante, intelligente».

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