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Piero Amara, la verità di Paolo Mieli e i segreti inconfessabili dell'avvocato: amicizie illustri, i politici e i magistrati che ora tremano

Francesco Specchia
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È l'uomo che usa la giustizia penale come un kalashnikov, il Tommaso Buscetta della magistratura deviata. Aveva ragione Paolo Mieli quando, a Piazzapulita su La7, sfiorando con lo sguardo Pietro Amara (non si sa se cercando sul suo volto una liscia superficie per accarezzarla o l'incavo più adatto ad appoggiarvi la canna della rivoltella, direbbe Montanelli) gli disse: «Lei è un assoluto genio, lei dissemina esche ed è più intelligente di noi e noi, magistrati e giornalisti tontoloni, stiamo tutti abboccando». Amara ringraziò. L'avvocato siciliano di Augusta, ex legale dell'Eni, 52 anni passati in un groviglio di affari, politica e corruzioni, allora, stava concedendo a Corrado Formigli un'intervista esclusiva, inquietante e al tempo stesso ipnotica. Il tema era la sua attività di pentito in merito alla fantomatica loggia "Ungheria", un'associazione per delinquere in cui si muoverebbero magistrati, alti funzionari, forze dell'ordine, politici. Tra detti, non detti, contraddetti e avvisi ai naviganti soffiati lì, nella foga dell'interrogatorio, Amara aveva svelato di avere in mano registrazioni con persone che oggi negano di averlo mai conosciuto e che dunque provano quanto afferma; e che i verbali secretati usciti dalla Procura di Milano non erano ancora finiti.

 

 

 



Quel bravo ragazzo - Due settimane dopo Amara, con quel suo eloquio morbido e il corpaccione uscito da Quei bravi ragazzi di Scorsese è stato arrestato. Scambio di favori legato al suo ruolo all'Ilva di Taranto (tre consulenze di cui una, inutile, da 90mila euro), attività «incessante di raccomandazione, persuasione, sollecitazione svolta, in favore del ex Pro curatore capo di Taranto Capristo, su membri del Csm», esposti anonimi per accreditarsi presso i vertici Eni «quale soggetto in grado di interloquire su tali procedimenti» e altre amenità. Nulla di nuovo nella storia personale di Amara. Anzi, ad essere puntigliosi qualcuno- come ha fatto Il Corriere del Giorno diretto da Antonello De Gennaro - oltre che su Capristo, potrebbe addirittura indagare sui suoi rapporti col Procuratore capo di Matera Pietro Argentino, il cui figlio avvocato lavora nello studio romano di Amara stesso (cfr. ordinanza del Gip del Tribunale di Potenza, pag. 34). Ma tant' è. Qui è la figura di Amara, detto "Peter Pan", a proiettare luci e (molte) ombre sui tribunali d'Italia. La capacità di intessere trame, creare rapporti, di "cercare il punto debole" in ogni interlocutore, Amara l'ha ereditata dal padre Pippo, geologo, insegnante, intoccabile sindaco socialista di Augusta. Laureatosi in giurisprudenza dopo un tentativo sfumato di finire nelle giovanili della Juventus (dicono fosse un ottimo faro di centrocampo), Piero Amara ha sapientemente usato, prima tra Siracusa e Augusta poi nei Palazzi romani, l'arte del dossieraggio, della fabbricazione di prove false e dell'accusa ad orologeria per annichilire nel discredito gli avversari. Carlo Bonini su Repubblica scrive di due calciatori del Catania, che denunciano il presidente difeso da Amara, e si ritrovano indagati per calcio scommesse. Dopo verranno prosciolti. «Come Amara. Anche lui prosciolto in una successiva inchiesta. Come uno Zelig, entra ed esce dai tribunali cambiando indifferente mente veste». Idem per il caso dell'ex presidente della Provincia Nicola Bono, che messosi contro Amara, si ritrova indagato per tentata concussione (anche lui as solto, ma la carriera è rovinata). Amara è quasi soprannaturale, si diceva, nello scovare i punti deboli. Per favorire due imprese riesce a plagiare il nuovo membro del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana Mi neo offrendosi di pagare i 115mila euro che servivano per pagare le spese sanitarie all'ex presidente della Regione Giuseppe Drago, amico del consigliere all'epoca gravemente ammalato. Per dire la spietatezza.

 

 

 

 

 



Soffiate e buchi - Amara ha amici illustri con cui trascorre le ferie negli Emirati Arabi come l'avvocato e compare Salvo Calafiore, il potente lobbista Fabrizio Centofanti e un sostituto procuratore di Siracusa, Giancarlo Longo, titolare di alcune indagini delicate. Longo è colui che, chez Amara, ricorre ai "fascicoli specchio" che si autoassegna per poter monitorare quelli, originali, dei colleghi; poi ci sono i "fascicoli minaccia" nei quali vengono indagati soggetti "ostili" agli interessi di alcuni clienti dipeso; i "fascicoli sponda" che servono a creare una mera legittimazione formale al conferimento di consulenze, sempre di Amara. È il cosiddetto "metodo Siracusa" con cui l'avvocato dirotta o ha ruoli oscuri nelle inchieste dalla Oikoten alla Sai 8, alla Fiera del Sud, all'Eni/Shell Nigeria; e per il quale metodo finisce in galera, condannato a 3 anni e 8 mesi. È la caduta da cavallo di Paolo di Tarso. Da lì Amara diventa Buscetta. Si offre ai magistrati di Perugia, testimone di accusa di Luca Palamara; e a Milano, dove è insieme testimone dell'accusa nel processo per le presunte tangenti Eni, e al tempo stesso indagato per "costituzione di associazione segreta". Amara parla, ma le sue soffiate sono come al solito, piene di buchi (per esempio non tira fuori la lista dell'Ungheria). A Formigli rivela di aver vuotato il sacco per amore di verità. Di quale delle sue mille verità non è dato di sapere...

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