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Quanti danni fanno gli stupidi volenterosi

Homer Simpson e la stupidità

Gli idioti iperattivi e privi di dubbi sono quelli che creano effetti devastanti sul posto di lavoro. Un saggio ne tra tracci al'identikit

Francesco Specchia
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«Nulla al mondo è più pericoloso di un’ignoranza sincera e di una stupidità coscienziosa». Chissà come, per un curioso effetto pavloviano, osservando le cronache di questi giorni avviluppate ai talebani d’Afghanistan e alla furia cieca dei No Vax, l’attenzione ci è inciampata nella citazione di Martin Luther in calce al pamphlet di Giorgio NardoneLa stupidità strategica- come costruire successi fallimentari o evitare di farlo (Garzanti, pp 116, euro 13).

Nel quale l’autore, psicoterapeuta allievo di Paul Watzlawick, nello scontrarsi con uno dei due elementi più diffusi in natura –l’idrogeno e la stupidità- ribalta, di quest’ultima, uno degli assiomi fondamentali. Nel notissimo saggio The basic Laws of Human Stupidity Le leggi fondamentali della stupidità umana pubblicato nel 1976 -sotto la sigla Mad Millers, Mugnai pazzi- lo storico dell’economia Carlo Cipolla riteneva che “il potenziale delle persona stupida di creare danni dipende da due fattori principali. Innanzitutto dal fattore genetico, alcuni appartengono sin dalla nascita alle élite del gruppo”. E solo dopo aggiungeva che “il secondo fattore che determina il potenziale di una persona stupida deriva dalla posizione di potere e di autorità che occupa nella società. Tra burocrati, generali, politici, capi di Stato e uomini di Chiesa, si ritrova l’aurea percentuale x di individui fondamentalmente stupidi la cui capacità di danneggiare il prossimo fu (o è) pericolosamente accresciuta dalla posizione di potere che occuparono (o occupano)”. Cipolla, da economista, elaborando le sue leggendarie cinque leggi sulla stupidità, assegnava una grande rilevanza al dna: se uno è un cretino ereditario c’è poco da fare, il marchio resta indelebile. Mentre Nardone, da psicologo, esclude categoricamente la tara biologica e insiste sul paragone della stupidità con un virus nato in un milieu malsano e dalla diffusione subdola. Il cretino, per lui, lo forma l’ambiente, dunque. Frequentando le redazioni dei giornalisti posso affermare l’assoluta fondatezza della tesi.

 Nardone sviluppa, appunto, l’interessante concetto di “stupidità strategica”. Ovvero di quella stupidità messa in pratica dal soggetto nella convinzione illusoria “di essere o divenire, così facendo la migliore versione di sé”; e l’autore approfondisce la fattispecie argomentandone l’eziologia e tracciando l’identikit generale della persona “strategicamente stupida”, la quale è sempre (nell’ordine) serenamente priva di dubbi, abile nel ridurre la sofferenza, incapace di reale empatia e compassione nonché inadatta al dialogo e votata a proclamare senza ascoltare. Soggetti peraltro diffusissimi. Totò li chiamava i “caporali”, Flaubert tentò di crearne l’embrione letterario in Bouvard e Pécuchet, l’ultimo suo romanzo; ma morì prima di penetrare quei mondi deliziosamente spogli di neuroni. Nardone si ispira, per certi versi, anche ad un vecchio concetto aziendale: quello che, nella classificazione tra intelligenti egoisti e intelligenti volenterosi e stupidi egoisti e stupidi volenterosi, sono questi ultimi -gli stupidi volenterosi- a rappresentare il pericolo maggiore sul posto di lavoro proprio perché carichi di entusiasmi e, al tempo stesso privi di contezza di sé. Un atto di stupidità volenterosa è strategico, e può avere un impatto dirompente. Pensate, chessò, ai membri di partiti di governo che sfilano nei cortei antigovernativi, o agli accademici che negano le foibe paralizzando il loro partito di riferimento. Meglio, sul lavoro, uno stupido egoista, che si fa i cavoli suoi. Fa meno danni. Scrive, a tal proposito, Carlo Cipolla: “Essenzialmente gli stupidi sono pericolosi e funesti perché le persone ragionevoli trovano difficile immaginare e capire un comportamento stupido. Con una persona stupida tutto ciò è assolutamente impossibile. Le azioni di un bandito seguono un modello di razionalità. Una persona intelligente può seguire la logica di un bandito, le sue sporche manovre, le sue deplorevoli aspirazioni e spesso si possono approntare le difese opportune”. In più c’è un altro problema: “il bandito è cosciente di essere bandito, lo sprovveduto è pervaso dal suo senso di sprovvedutezza. Al contrario, lo stupido non sa di essere stupido. Ciò contribuisce potentemente a dare maggiore forza, incidenza ed efficacia alla sua azione devastatrice”.

Secondo Nardone la stupidità strategica è l’opposto dell’“agire strategico” derivato dalla Teoria dei giochi di John von Neumann attraverso il quale tutto si pianifica fino alla vittoria. Lo stupido strategico, invece, pianifica fino al fallimento; tende ad una totale incapacità di adattamento, è indisponibile a correggere i propri piani, “che finiscono per diventare cocciutaggine autodistruttiva”. Stupidi non si nasce, appunto; si diventa. Nardone cita l’esempio di John Watson fondatore del comportamentarismo in psicologia; il quale, per dimostrare le sue teorie, condizionò il figlio con un disturbo psichico del quale il ragazzo non riuscì mai a liberarsi. Non si capisce, in realtà se il medico fosse più stupido o più idiota inteso, in senso clinico, ad indicare grave disabilità intellettiva. Il pamphlet delinea anche una sfilza di profili di stupidi. Sono l’incompetente saccente, il presuntuoso snob, il beato ignorante, l’ideologo inamovibile, il logico sprezzante, il fanatico fervente, il manipolatore subdolo, l’empatico camaleontico, il critico insaziabile, l’insoddisfatto perenne e il megalomane. Nulla di nuovo, ad onore del vero. Chi si occupa di politica, editoria o giornalismo ci metterebbe due nanosecondi per assegnare le parti. E se facessimo una carrellata cine- televisiva sul tema potremmo passare da Homer Simpson, all’Ispettore Clouseau dai serial di Mister Bean alla tenerezza del Peter Sellers di Oltre il giardino.  Se ci buttassimo sul letterario, invece, nel saggio Stupidità il semiologo Gianfranco Marrone va alla ricerca delle radici filosofiche, letterarie e antropologiche del fenomeno, vagabondando dal mito di Giufà di origine araba fra le pagine di vari pensatori e scrittori (Voltaire col suo candido e, appunto, Flaubert, Musil, Adorno, Deleuze, Barthes, Sciascia, Eco). Poi ci sono Fruttero & Lucentini e Sciascia, che trattavano di una sfumatura della stupidità, un segmento pregiato, quella del cretinismo (“la prevalenza del cretino”, “i bei cretini di una volta”) elevato a fenomeno quasi artistico.

 Lo stupido attraversa i secoli e si coordina nelle varie strutture sociali con sorprendente efficacia. E’ pericoloso, ma è pure una grande, indispensabile pietra di paragone per l’individuazione, per contrasto, dei saggi e degli intelligenti. L’importante, come diceva qualcuno, è non parlargli troppo con uno stupido in pubblico; la gente potrebbe non accorgersi della differenza…

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