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Louis-Ferdinand Céline non trova pace neanche da morto

Céline nel 1950

L'eredità dei 6000 inediti bloccata tra Gallimard e gli eredi e una nuova biografia che ne esalta il lato umano (al di là dell'antisemitimo , che c'era): a 80 anni dalla morte si riscopre il grande e discusso scrittore francecse

Francesco Specchia
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A che livello può arrivare l’ossessione - nel bene e nel male- per Louis-Ferdinand Céline?

“Il dottor Destouches era un bravo medico senza pazienti. Gli uomini, li conosceva dentro e fuori. Sapeva che magagne avevano, prima che parlassero delle disgrazie loro, anche più d’una insieme. Accordavano polmoni e intestini, cuore e cervello, segnati in rosso sullo spartito della miseria. La sinfonia delle iatture. Suggeriva regole di buona salute, rimedi naturali e non prescriveva quasi mai farmaci. Se non avevano soldi, i poveracci, le medicine le comprava lui. Se il malato era un bimbo, gli sorrideva, gli sussurrava filastrocche. E non voleva essere pagato: conosceva voce per voce il preventivo di asprezze, vigliaccate, vergogne e umiliazioni organizzate già prima che la creatura fosse venuta al mondo senza chiedere di venirci…”. Quando Donatello Bellomo dipinge, nella nuova biografia- romanzo, Céline. La centunesima notte (Il Cerchio pp 242, euro 269), il lato umano del grande scrittore francese a 80 anni dalla morte, emerge tutta la sua voglia insana di riscattare l’amato dottor Destouches dall’antisemitismo di Mr. Cèline. Per una voluta del destino, proprio durante l’anniversario appena celebrato di Cèline, scoppia una furiosa battaglia legale tra l’editore Gallimard (sedicente esclusivista dell’opera omnia) e gli eredi dello scrittore. I quali eredi, attraverso il curatore del legato letterario l’avvocato Francois Gibault, stanno bloccando le pubblicazioni dei tre libri tratti dai 6000 manoscritti inediti di Celine ritrovati il mese scorso in un palazzo di Montmartre. E mentre si accende il giallo del metro cubo di carte autografe nel 1944 –il ritrovamento letterario del secolo- e si attende entro fine anno l’incontro tra le parti nel nome di una costosa transazione; be’, ecco l’arrivo di quest’appassionata biografia. Un romanzo di vita che ribalta i pregiudizi razzisti trasudanti dai tre famigerati pamphlet di Céline, Bagatelle per un massacro (1937), La scuola dei cadaveri (1938) e La bella rogna (1941). E’ pacifico che Céline non trovi pace neanche da morto. Ancor oggi il suo antisemitismo (scriveva, in effetti: “Trovo l’antisemitismo italiano tiepido, per i miei gusti, pallido, insufficiente. Lo trovo pericoloso”) collegabile storicamente alla fidanzata americana Elizabeth Craig che lo piantò per un ricco israelita, s’invischia con la sua narrativa cristallina.

Sicché Bellomo, romanziere e cronista ossessionato da Céline –e da Bukowski e dai piccoli eroi liminali della storia-  compie una sorta di cammino di Santiago sui luoghi celiniani partendo da Meudon, sud ovest di Parigi; e s’impunta nel restituire alle nuove generazioni il Céline artista eccelso e uomo buono travolto dagli eccessi della storia. Scrive Bellomo del trattamento che riservarono allo scrittore fino alla galera: “Come gli "scemi di guerra”, Céline, ferito e decorato, è entrato nell’armata delle vergogne da nascondere al mondo, quelle honte! dopo che erano stati rapinati di passato presente e futuro, mutilati delle corde vocali con la più rivoltante delle false testimonianze, la rimozione. Avrebbero bruciato i suoi libri, strappato la pagina dal registro delle nascite, Courbevoie, giovedì 27 maggio 1894, ore 4 pomeridiane. Non è mai vissuto, non ha scritto una riga. Se avessero potuto, il medico dei capolavori, Voyage au bout de la nuit, Mort à Credit e La Trilogia del Nord, lo avrebbero cancellato da ogni appiglio della memoria”. Ma la domanda è sempre la stessa: chi era davvero il dottor Destouches? Un anarchico o un filonazista, un collaborazionista o un battitore libero, un indifferente o un visionario?

Per illuminarne il genio Bellomo ne scava la vita privata, quella del “ragazzino biondo con le orecchie a parafango non eccelle in nulla salvo in Francese, bordeggia con la sufficienza ma se la cava anche se papà e mamma gli cambiano istituto in pieno anno scolastico, via dall’istruzione pubblica per quella privata, dove rimarrà pochi mesi: la retta è troppo alta”. Ne descrive la placida esistenza piccoloborghese tra i genitori e le clienti del negozio di merletti, i vicini di casa, i commilitoni, le voci di strada sulla scia dell’amato Rabelais. Ne racconta il viaggio in Urss dove rifiutò la direzione di un giornale antisemita e dove ravvivò i germi dell’anticomunismo. Descrive il suo senso dello Stato, la sua lealtà, i suoi amori e –specie la moglie Lucette, “lui è il badile, lei la zappa”- . Insiste sul suo stile immenso: “Diceva che la trama non conta quasi nulla, ma l’originalità e la coerenza stilistica. Come la poesia, la musica, la danza, la scultura e la pittura di Giotto Celin non riempie lo spazio ma lo svuota, racconta in presa diretta quella convenzione mai sottoscritta che chiamiamo società”.  L’epilogo è l’immersione in un lavacro da cui il dottor Destouches si riconcilia con la sua anima nera soffocata dalla luce dell’arte…

 

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