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Paola Silvia Dolci, il caso della poetessa-ingegnere tra lirica, romanzo e psicanalisi

 Paola Silvia Dolci

Spopola il memoir Diario del sonno di Paola Silvia Dolci, editrice, imprenditrice e talento letterario che ha fatto delle sue ossessioni, degli amori perduti e delle (costose) sedute di psicanalisi elementi di un successo insospettato

Francesco Specchia
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Il bosco è pieno di fragili docili stupide vittime/il bosco è pieno d’amore/ e come odia l’amore questa parola…”. Paola Silvia Dolci è poetessa immaginifica e amazzone della parola. La sua coscienza narrativa vagola tra alto e basso, classico e contemporaneo, intreccia serio e faceto, citazione e omaggio, versi e prosa. E si muove tra le visioni con grazia innaturale. Anche troppo.

Per completare il quadro: Dolci non è solo poetessa, è anche ingegnere, imprenditrice, direttrice ed editrice di NiedernGasse una delle migliori riviste sperimentali di poesia e cultura (e, per me, come diceva Abbott Liebling di Camus “ha sprecato tutto il suo talento in letteratura, poteva essere un grande giornalista”). Parlare con lei di eclettismo è riduttivo. Sicché, dopo sette libri di poesie – Bagarre, NuàdeCocò, Amiral Bragueton, I processi di ingrandimento delle immagini, Bestiario metamorfosi – non stupisce il caso mediatico e successo del suo Diario del sonno (Le Lettere, pp 228, euro 18). Che è un memoir emotivamente stroboscopico: mescola poesia, romanzo e cronaca in una trama che attraversa la sua stessa vita.

In sintesi. Paola è una ragazza forte, dominante, disinibita di sesso e di testa, dai sentimenti complessi. Dopo la laurea in ingegneria vede progressivamente emergere i fantasmi della propria infanzia, le molestie, le violenze, gli abbandoni. Da quel momento, all’improvviso, la mente deraglia; e i suoi pensieri si schiantano contro il mondo esterno. La vita si restringe, fino a soffocarla. La diagnosi clinica è precisa: “assenza di controllo degli impulsi e depressione maggiore”. E così sopraggiunge il vuoto delle emozioni, il dolore che erode i nervi, il labirinto della psicanalisi iniziata con un medico paziente e fedele che la salva dal tentativo di suicidio. Da lì, da quella poltrona di Le Corbusier terapeutica che s’affaccia sul racconto di una vita, si snoda un percorso tortuoso tra esperienza e sogno, cosparso di silenzi e di fogli intarsiati di inchiostro.

Le pagine del Diario sono salti quantici. Qualche esempio. “Ho sette anni/ Siamo nello studio. Luci puntate e buio. Con forza e fermezza il dottore mi strappa entrambi i lobi nei quali ho due grandi orecchini a cerchio. Mi scuoto, me ne andrei. Il dottore mi afferra gli avambracci e me li blocca sulla scrivania. Non posso muovermi. Senza fiato, ho paura”; “Ho zero anni/ Perdo i denti. A volte anche i capelli. Mi smarrisco nei labirinti. Sono su una macchina che non so guidare e mi vado a schiantare. La folla. Cado col lettino dal ballatoio della nonna. Non sono in picchiata ma il letto si disfa progressivamente fino a quando l’unica protezione contro lo schianto è la mia impronta sul materasso. Polvere e cenere in turbini. Mi va malissimo il compito in classe di matematica che devo svolgere. “Ho mille anni/Un futuro possibile. In cui io il bambino e il suo papà facciamo il bagno in mare. La merenda con pane burro e marmellata. In cui ci si addormenta in un lettone tutti e tre abbracciati. Qualcosa di nuovo in cui cambia il mio ruolo. In cui non sono più un peso doloroso che deve affannarsi per non trovare amore. Non sei figlia. Non sarai mai più figlia. Non sarai mai stata figlia”.

Il Diario chiude su un’immagine di Genet che me ne richiama mille altre. Sta spopolando nel web, in radio, nelle tv di nicchia; diverrà, giustamente un monologo teatrale.  Marco Giovenale vede –innamorato di lei come noi tutti-  nello stile della poetessa “corone di schegge che fissano o spillano segmenti di dolore o piacere-dolore in aspetto di Diario”. Non sono del tutto d’accordo. Paola si salva grazie alla scrittura; la poesia è la fiaccola che illumina il suo buio, fino a divenire il mezzo per l’anabasi, verso la salvezza. Il Diario del sonno è un respiro onirico e potente; ed è, al contempo, il resoconto di quella salvezza. La frase che rimbomba mentre ti ci immergi dentro è sempre la stessa: avec tout l’amour que je pouvais…

  

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