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Sigfrido Ranucci, Flavio Tosi e il "filmino a luci rosse": "Così mi sono difeso da lui e da Report"

Brunella Bolloli
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«Un mio filmino a luci rosse? Non si pone il problema perché non esiste e non è mai esistito». E poi, diciamolo Flavio Tosi, ex sindaco di Verona: mostrare in prima serata sulla Rai un filmino hard per infangare un politico non sarebbe stato un gran servizio pubblico... «Ma infatti Report voleva partire da quello per parlare d'altro e infilarci l'ndrangheta e io non sono mai stato in vita mia indagato o processato per qualche fatto vicino o attinente l'ndrangheta. Mai in trent' anni di attività politica. Eppure loro hanno mandato in onda lo stesso quella puntata sulle infiltrazioni mafiose nel mio Comune. Per questo ero furibondo».

 

 

 

 

Andiamo con ordine. Era il 2014 e lei era il sindaco di Verona. Come apprende che Report stava lavorando su di lei?
«All'epoca in Lega c'erano due fazioni: i bossiani e i maroniani. Io non ero bossiano. Sergio Borsato era un bossiano di provata fede, non avevo con lui alcun rapporto, però ero segretario della Lega e un giorno mi contattò per dirmi: "guarda che stanno facendo una cosa schifosa contro dite". E me la venne a spiegare».
Le parlò del dossier che sarebbe finito sulla tv di Stato?
«Sì. Ma visto che io mi fidavo zero, considerato che lui era uno che stava dall'altra parte della barricata, gli ho detto: ho bisogno di prove. E lui mi ha portato il video in cui Ranucci parla del servizio che aveva intenzione di mandare in onda su di me e la mia amministrazione. E i video sono lapalissiani: inequivocabili».
A quel punto scatta la denuncia.
«Sono andato in procura con i video e ho detto: Ranucci sta costruendo una trasmissione per sputtanarmi».
Non ha mai pensato che quei video potessero essere stati manipolati?
«Li hanno visionati anche le forze dell'ordine, la procura della Repubblica. Non sono falsi. Rispetto a quello che ha pubblicato Il Riformista il girato è più lungo e riguarda un pranzo di un'ora tra Ranucci e Borsato. È indubbio che sia Ranucci a parlare».
Eppure è lei, poi, ad essere querelato dallo stesso Ranucci. C'è una sentenza del tribunale di Verona...
«Sì, ma io la querela me la prendo non certo per i video, ma perché ero talmente incazzato per il trattamento subìto, fra l'altro in un momento politico delicato, che ho esternato pubblicamente tutta la mia rabbia contro Report».

 

 

 


Lei è stato assolto dal reato di calunnia, ma condannato in primo grado per diffamazione (per tre episodi su cinque che Ranucci le contestava). Com' è finita?
«Ho transato. Volevo chiuderla lì. Difficilmente in Italia vinci una causa contro un giornalista di sinistra. Dal punto di vista giudiziario per me la questione è morta. Premetto che io sono una persona che non si arrabbia mai. Ma dopo la puntata in cui Report accostava Verona, la mia amministrazione, alla criminalità, ho reagito. Ho convocato la stampa e ho detto: sono delle m.... Questo giornalismo mi fa schifo».
Lo pensa ancora?
«Se uno guarda quella trasmissione con gli occhi di chi viene infamato pubblicamente, credo faccia fatica a reagire diversamente. Penso che la Rai debba interrogarsi su certe condotte».
Allora, nel 2014, questa vicenda le ha nuociuto politicamente?
§«Non nascondo che i primi mesi è stata dura. Se sulla Rai mandano un servizio con la tua faccia e parlano di 'ndrangheta, chi non ti conosce bene può pensare che qualcosa sia vero. Certo che ha nuociuto».
In primavera si vota a Verona, il suo feudo. Lei ci riprova? «Certo. Sono un civico, ho la mia lista che è sempre arrivata prima a tutte le elezioni, e in questo momento ho un dialogo costruttivo anche con Forza Italia»

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