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Federico Rampini sull'Ucraina: "Pechino salverà la Russia, ecco a che prezzo. E se ci fosse stato Trump..."

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Una delle incognite più grandi riguarda l'atteggiamento del presidente cinese Xi Jinping nei confronti di Vladimir Putin. La Cina non ha mai riconosciuto l'annessione della Crimea da parte della Russia e ha acquistato 42 milioni di ettari di terreni agricoli in Ucraina. Inoltre, l'idea che un gruppo etnico possa rivendicare la propria indipendenza è ritenuta pericolosissima dal regime. Chi conosce bene ciò che sta avvenendo nell'impero del Dragone è Federico Rampini, oggi editorialista da New York del Corriere della Sera, nonché autore di due dei libri più sorprendenti degli ultimi anni. Uno è La notte della sinistra, in cui racconta, senza indulgenze, la separazione tra popolo ed élite progressista avvenuta in Italia, Stati Uniti e nel resto dell'Occidente. L'altro, più recente, s' intitola Fermare Pechino.

Rampini, tutto fa credere che Xi fosse favorevole al mantenimento dello status quo e non volesse l'invasione russa. Che però è avvenuta. Con quali occhi il presidente cinese guarda oggi al suo collega di Mosca?
«La Cina è il primo partner commerciale dell'Ucraina e l'invasione russa è un danno per i suoi interessi economici. Inoltre c'è la questione di principio: la Cina ha sempre criticato le invasioni militari... salvo quando le ha praticate. Ricordo Tibet, India e Vietnam, per restare ai casi recenti. L'appoggio di Xi Jinping a Putin guarda però ai vantaggi di lungo periodo. Una Russia che si allontana dall'Occidente è costretta a finire nelle braccia della Cina, che le farà pagare il suo aiuto politico, economico, finanziario, tecnologico».

Da quando è iniziata l'invasione russa hai notato un cambiamento nell'atteggiamento di Xi?
«Col passare dei giorni il sostegno cinese si è fatto più cauto, Pechino ha lanciato appelli al dialogo fra le parti. Xi Jinping vuole mantenere tutta la sua libertà di manovra con l'Occidente, non si lascia identificare con Putin. Lo aiuterà a sopravvivere con le sanzioni economiche occidentali, ma a caro prezzo, e senza tagliarsi i ponti con l'America».

La Cina ha sempre distinto la questione di Taiwan, che reputa parte del proprio territorio, da quella dell'Ucraina. Mentre noi parliamo, però, i caccia cinesi tengono sotto pressione le difese taiwanesi. Ritieni possibile l'invasione?
«Le violazioni dello spazio aereo di Taiwan da parte di squadriglie militari cinesi sono all'ordine del giorno da tempo. Sono senza dubbio minacciose, ma non mi pare che siano aumentate di recente. È corretto dire che per Pechino il principio di sovranità e di rispetto dell'integrità territoriale degli Stati non si applica a Taiwan, che è considerata una provincia ribelle, più simile a quel che la Catalogna è per la Spagna, se vogliamo usare un paragone europeo. È altrettanto vero, però, che l'impotenza dell'Occidente in Ucraina è considerata un test significativo per la Cina e le sue mire di annessione di Taiwan».

La Russia resta, per dirla con Churchill, un indovinello avvolto in un mistero all'interno di un enigma. L'invasione dell'Ucraina è una sentenza di morte per il gasdotto Nord Stream 2, che sarebbe dovuto entrare in funzione nei prossimi mesi, e rischia di segnare la fine delle esportazioni di gas in Europa. Perché la Russia dovrebbe rinunciare ai nostri soldi?
«La Russia rinuncia solo ai soldi virtuali del Nord Stream 2, che non è mai entrato in funzione e quindi rappresenta il reddito futuro da un investimento. Il resto delle esportazioni di gas russo verso l'Europa continuano e frutteranno un gettito aumentato, grazie al rincaro dei prezzi mondiali. Come si è visto con la sanzione che esclude la Russia dal sistema di pagamenti internazionali Swift, gli europei hanno dovuto per forza inserire un'eccezione che consenta di pagare il gas. In vista di ulteriori peggioramenti nelle relazioni con l'Europa occidentali, Putin ha raggiunto accordi con la Cina per aumentare le forniture in quella direzione».

Stai dicendo che la guerra e le sanzioni non comporteranno perdite economiche per la Russia?
«No, non dico questo. Le perdite economiche per la Russia saranno sostanziali, ma Putin si prepara da anni a questo conflitto e ha fatto tutto quello che poteva per costruire un'economia più autarchica, meno esposta alle sanzioni, più rivolta a Oriente. Mentre modernizzava le sue forze armate, ha ridotto il debito pubblico e il debito estero, proprio per poter resistere a un assedio finanziario».

La Cina, con cui Gazprom si è già impegnata a vendere gas per i prossimi trent' anni, potrebbe essere in futuro l'unico mercato per il metano russo?
«La Cina ha bisogni energetici enormi, per cui potrà assorbire tutto il gas che eventualmente l'Europa smetterà di comprare, e ha già deciso la costruzione di nuove infrastrutture per trasportare più gas russo a Oriente. Sta però investendo molto anche nel nucleare, che considera a tutti gli effetti una fonte rinnovabile, nel solare, nell'eolico, nell'auto elettrica. Questo significa che come cliente di energie fossili dalla Russia avrà un appetito decrescente nel tempo, via via che Xi realizzerà i suoi piani di de-carbonizzazione».

Sinora la Cina si è limitata a condannare le sanzioni occidentali. Nell'Onu e negli altri organismi, che atteggiamento possiamo aspettarci da Pechino nei confronti di Mosca?
«Appoggio prudente e condizionato, per le ragioni di cui sopra. La diplomazia cinese si esibisce in un'acrobazia di cui è maestra: non dirà nulla che sconfessi Putin e appoggerà la sua narrazione sull'accerchiamento occidentale della Russia. Però, soprattutto se la guerra-lampo dovesse trasformarsi in un conflitto prolungato, mi aspetto che Pechino si smarchi e offra i suoi servizi di mediazione per una soluzione diplomatica. Non dimentico che la Repubblica Popolare non ha mai riconosciuto la Crimea, proprio perché non ama i separatismi».

A molti osservatori Joe Biden è apparso spiazzato dalla spregiudicatezza di Putin. Che giudizio dai del suo operato? Gli attribuisci errori, come quello di aver consentito l'avvicinamento tra Putin e Xi?
«L'avvicinamento tra Russia e Cina dura da quattro presidenti americani, i primi segnali erano chiari già sotto George W. Bush. In Europa molti si sono convinti che la ritirata caotica da Kabul nel 2021 abbia incoraggiato Putin, ma ci sono indizi che l'invasione dell'Ucraina sia stata preparata ben prima di Kabul. La debolezza verso Putin, comunque, è di tutto l'Occidente: in primo piano vedo la responsabilità europea nel lesinare investimenti per la difesa».

Ritieni un caso che Putin non abbia fatto nulla di simile nei quattro anni in cui il suo interlocutore era Donald Trump, impegnato ad aumentare il budget e gli armamenti della Nato? 
«Putin aveva un rapporto strumentale con Trump. Era convinto di poterlo manipolare. Non si può escludere che con un "Trump 2" alla Casa Bianca avrebbe scelto altre vie per estendere la sua influenza in Ucraina. In cuor suo, forse, lo stesso Trump gli avrebbe dato via libera per la "finlandizzazione" dell'Ucraina. Sui rapporti con la Russia, però, Trump è sempre stato condizionato dall'establishment della politica estera: Pentagono e Dipartimento di Stato ostacolavano le sue aperture a Putin, con l'appoggio dei repubblicani al Congresso».

Nel tuo ultimo libro ricordi di quando Putin replicò a Biden che «i diritti umani sono calpestati negli Stati Uniti, lo dice Black Lives Matter». Lo storico conservatore Victor Davis Hanson ha scritto che Putin ha aggredito l'Ucraina anche perché «gli Usa sono sconvolti da dissensi interni e disordini sociali». Quanto pesa il "fronte interno", quello della battaglia culturale, nella capacità di reazione degli Stati Uniti?
«Enormemente. L'America è piena di filo-russi, sia nella versione trumpiana che a sinistra. Nei programmi in inglese di Radio Sputnik, organo di propaganda di Mosca, molti talk show sono dati in appalto a militanti della sinistra radicale americana, professori universitari di idee marxiste, attivisti dell'anti-razzismo. Da una parte Trump definisce Putin un genio e Biden un incapace; dall'altra l'ala sinistra del partito democratico descrive l'America come l'Impero del Male. A differenza di quel che mi sembra stia accadendo in Europa, qui le manifestazioni contro la guerra non riempiono certo le piazze». 

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