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Federico Rampini linciato e insultato dalla sinistra? Cosa c'è dietro davvero: quando Donald Trump...

Alessandro Giuli
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Piovono missili su Federico Rampini. Negli ultimi giorni il veterano giornalista - ora editorialista per il Corriere della Sera dopo un lungo passato a Repubblica - è diventato bersaglio dei generali salottieri e del loro caporalato social ai quali non va giù la linea durissima da lui assunta contro Putin e i suoi ventriloqui. Ma sullo sfondo s' intravede qualcosa di più: un regolamento di conti parecchio vendicativo contro le posizioni di Rampini sui totem tradizionali della sinistra da cui proviene: dall'immigrazione al politicamente corretto fino al globalismo suprematista liberal.

 

A FREDDO
L'ultima bomba "intelligente" l'ha sganciata Gad Lerner su Twitter, senza circostanziare il perché: «Dategli tempo, a Federico Rampini, che pian pianino poi magari ci diventa l'Éric Zemmour italiano». Dietro il brutale accostamento con il candidato all'Eliseo in odore di xenofobia sovranista - peraltro non gradito da molti follower che hanno lamentato "la miseria" e la "pochezza" dell'attacco a freddo - c'è voluttà di gettarsi nella mischia in cui Rampini lotta con maggior acribia dacché la Russia ha invaso l'Ucraina. 

Il corrierista esperto di politica internazionale due giorni fa ha ingaggiato sul La7 una battaglia furibonda con un intoccabile come Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, al quale ha fatto notare che le sue critiche alle sanzioni economiche che «non fanno meno male dei bombardamenti e non piegano i regimi, ma piegano i popoli» portano acqua al mulino di Putin e rendono chine se faccia latore un collaborazionista di fatto. «Ha messo sullo stesso piano le sanzioni economiche e i bombardamenti. Ma stiamo scherzando? Questa è un'offesa vergognosa alle madri dei bambini uccisi», ha detto Rampini; mentre il direttore del quotidiano dei vescovi già si predisponeva a un tuffo nel vittimismo digitale per lamentare su Twitter l'ignoranza della propria storia e formazione cattolica da parte del rivale.

La circostanza che Lerner sia divenuto una firma di punta del Fatto, peraltro, si sposa benissimo con una recente vignetta in cui Vauro rappresentava sul giornale di Marco Travaglio un Rampini armato fino ai denti e soprannominato "Rambini". Ma queste non sono soltanto perfidie occasionali provocate dalla linea radicale contro l'autocrate russo, descritto da Rampini come una figura molto più prosaica rispetto alla mitologia escatologica dei suoi sostenitori, più interessato insomma a conquistarci a suon di bugie e bombe (complice interessata la Cina) piuttosto che a salvarci l'anima.

 

Al plotone d'esecuzione anti-rampinista si è infatti aggiunto anche Dagospia, non senza l'abituale tratto ironico però, in un pezzo allusivo ad ampio raggio: «La metamorfosi di Federico Rampini. Da "Occupy Wall Street" alla condanna di Black Lives Matter». Prima di prodursi nel suo corsivo, Dago si è goduto l'aggressiva performance di Rampini ospite di Nicola Porro a Quarta Repubblica, e ha quindi stilato un campionario delle sue ultime opinioni più indigeste al conformismo sinistroide nel quale ha pascolato per anni pagato dal Gruppo Espresso. Conclusione: «Ma quello vero è il Rampini 1 o il Rampini 2? Tutto cambiato, salvo le bretelle».

EX COMMILITONI
La verità, come dimostra per esempio la biografia d'un altro esule in patria della sinistra come Giampiero Mughini, è che gli ex commilitoni malsopportano i fuoriusciti che non rinunciano alla critica e all'autocritica. Pratica nella quale Rampini eccelle, avendo pubblicato due formidabili libri - "La notte della sinistra" e "Suicidio occidentale", entrambi Mondadori - nei quali fa letteralmente a pezzi i vecchi feticci di famiglia, difesi dalla vecchia guardia goscista con l'arma della più feroce delegittimazione antropologica. 

Fra le colpe che non hanno perdonato a Rampini c'era quella di aver capito prima degli altri che Donald Trump stava intercettando il consenso dei forgotten men abbandonati dalla ricca élite democratica; adesso il copione si ripete di fronte all'allarme in difesa di un Occidente imbelle e ipocrita assediato dal dispotismo asiatico.

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