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Generale Mini, "se lo dice lui, allora...": chi è davvero l'uomo di Travaglio

Daniele Dell'Orco
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La comunicazione di massa è affare molto delicato. Lo sono i riflettori improvvisi, lo sono le necessità editoriali e lo sono le aspettative del pubblico. Com'è stato per la pandemia, con affermati professionisti sanitari diventati superstar della tv e scaduti nelle esternazioni meno scientifiche e più grottesche possibili, così sta accadendo per la guerra in Ucraina. Presi dal bisogno forsennato di profilare più in fretta possibile persone adatte a titillare talune o talaltre posizioni, giornali, tv e siti web si sono contesi esperti di geopolitica, filosofi, militari in pensione etc. costretti a semplificare, ridurre, rincorrere l'attualità adattandone i contorni al proprio desiderio. Così facendo, può accadere che il confine tra serio e faceto finisca col diventare impercettibile. È capitato al prof. Alessandro Orsini. Sta succedendo al gen. Fabio Mini. In comune hanno due cose: le accuse di filo-putinismo e la testata che li ha ingaggiati, ossia il Fatto Quotidiano.

Sul foglio diretto da Marco Travaglio, Mini, generale di Corpo d'Armata dell'Esercito Italiano, già Capo di Stato Maggiore del Comando Nato del Sud Europa e comandante della missione Kfor in Kosovo, parla molto spesso degli equilibri militari sul campo ma anche e soprattutto del ruolo svolto dall'Alleanza atlantica nel processo storico che ha portato Ucraina e Russia a collidere. Visto il suo background, Travaglio si fa "scudo" dietro al nome di Mini in molte delle sue comparsate televisive, quando espone qualche concetto ripetendo: «Lo dice il generale Fabio Mini». Che tuttavia, alle volte, non è che sia proprio una sentenza. I detrattori lo hanno inserito tra i nomi che, consapevolmente o meno, tirerebbero la volata al Cremlino in Italia. Alcuni, però, lo attaccavano già da prima della guerra, per via delle sue esternazioni sulla teoria delle scie chimiche come forma di conflitto ambientale.

 

 

LO SCUDO DI TRAVAGLIO
La guerra in Ucraina ha peggiorato le cose. Nelle ultime settimane, Mini ha scritto ad esempio che Finlandia e Svezia avrebbero scelto di entrare nella Nato perché «sottoposte alla pressione, al limite del ricatto, che Stati Uniti e Gran Bretagna esercitano già sui paesi europei». Pochi giorno dopo, sul Riformista, di fatto li considera dei potenziali «cavalli di Troia» capaci di spaccare la Nato. Usa e Gb, insomma, starebbero facendo pressioni per far entrare nell'alleanza delle serpi. Molti prima, a fine marzo, Mini scriveva: «Le colonne militari russe sono avanzate secondo i piani. L'obiettivo non è prendere la capitale, ma controllare l'est». Una narrazione molto simile a quella cara al Cremlino, ma è impossibile negare che la ritirata sia stata ben poco "strategica" da una capitale che pensava (e sperava) potesse cadere nel giro di pochi giorni.

Eppure, Mini ne resta convinto, rispedendo al mittente anche le accuse di "lentezza inaspettata" dell'azione russa: «È solo la conseguenza di aver raggiunto gli obiettivi». Quali? Lo stigma in tutto l'Occidente e la cessazione dei colloqui di pace? Il rafforzamento di Zelensky, che volevano rovesciare? Ah già, secondo Mini anche questa sarebbe una falsità: «Anzi, la Russia sta cercando di mantenerlo al potere spingendolo a negoziare circondando Kiev». Ma non è quello che disse Putin il 25 febbraio invitando i militari ucraini al golpe contro Zelensky e la sua «banda di drogati e neonazisti». Infine, il 30 maggio, commentando le perdite russe in battaglia, circa 30mila secondo le stime ucraine e britanniche, Mini scriveva: «Sono perdite consistenti, ma coerenti con il tipo di combattimento in atto». Eppure, in 100 giorni sono già di più di quelle registrate durante la guerra in Afghanistan (26mila morti). Con un piccolo dettaglio: durò 10 anni (!).

 

 

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