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Papa Francesco, l'ambasciatore dell'italiano nel mondo. E i cronisti Usa...

Antonio Socci
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«Con franchezza va detto che papa Francesco è probabilmente il più grande ambasciatore della lingua italiana sulla scena mondiale in questo momento. Non ho idea di quante scuole americane offrano corsi di italiano, ma se il mio reddito dipendesse da quante persone vogliono imparare la lingua, farei il tifo perché Francesco rimanesse il più a lungo possibile». Giorni fa, uno dei più autorevoli vaticanisti americani, John Allen, sul sito di informazioni cattoliche Crux (che egli guida), faceva questa considerazione prendendo spunto dal recente viaggio del Papa in Kazakistan durante il quale, nei suoi interventi davanti ai vari leader delle religioni mondiali, ha usato la lingua italiana.

Per la verità il tono dell'articolo di Allen (che è anche Senior Vatican Analyst per la Cnn) sembra un po' ironico, forse infastidito. Probabilmente gli americani trovano indisponente o almeno bizzarro che, viaggiando per il mondo, una grande autorità come il Papa parli italiano anziché inglese.

LATINO UNIVERSALE - Infatti il vaticanista americano esordiva così: «Più e più volte in Kazakistan, come fa abitualmente e in ogni contesto, papa Francesco ha sottolineato l'importanza di lavorare per capirsi, con la comprensione reciproca che è fondamentale, ha insistito, per la causa della pace. Ironia della sorte, ha comunicato questo messaggio in italiano, una lingua che praticamente nessuno all'evento interreligioso, al di fuori del piccolo seguito vaticano a fianco del papa, capiva davvero. Ovviamente c'era una traduzione disponibile, ma tutti sanno che non è proprio la stessa cosa».

 

 

Allen spiega che «Francesco non è abbastanza a suo agio né in francese, la lingua della diplomazia globale, né in inglese, la lingua dei media e del commercio, per usarle in pubblico». E aggiunge che il Pontefice non usa lo spagnolo perché quello di Buenos Aires, chiamato porteño, è una forma dialettale non molto comprensibile.
In realtà la scelta dell'italiano, da parte di papa Francesco, non è affatto un ripiego "provinciale" come l'articolo farebbe pensare. Ci sono ragioni molto serie e nobili che giustificano l'opzione del Santo Padre.

La prima ragione - non proprio irrilevante - è che, con buona pace dei giornalisti americani, da molti secoli la Chiesa cattolica apostolica romana ha la sua lingua universale che non è l'inglese, ma è il latino (da ben prima che fosse scoperta l'America). Ma soprattutto il Papa è il Vicario di Cristo e il Successore di Pietro perché è il Vescovo di Roma. Quindi parla la lingua di Roma che è l'italiano (del resto è anche Primate d'Italia).

L'italiano non è che l'evoluzione del latino. Annalisa Andreoni, nel suo bel libro "Ama l'italiano", osserva: «La prossimità del sistema fonologico italiano a quello latino, molto maggiore che nelle altre lingue neolatine, è stata oggetto di divertenti esperimenti di poesia ambivalente, come questa in lode di Venezia del classicista Mattia Butturini (1752-1817), che è latina e italiana insieme: Te saluto, alma dea, dea generosa/ o gloria nostra, o veneta regina!/ In procelloso turbine funesto/ tu regnasti secura: mille membra/ intrepida prostrasti in pugna acerba!/ Regna in prospera sorte, in pompa augusta,/ in perpetuo splendore, in aurea sede./ Tu serena, tu placida, tu pia,/ tu benigna, me salva, ama, conserva». Questo potrebbe bastare.

Dante, peraltro, proclamava la superiorità del volgare (la sua lingua fiorentina che diventa l'italiano ufficiale) sul latino proprio perché è la lingua che impariamo da bambini e che parliamo oggi. E ne proclamava il primato rispetto al francese e al provenzale sia per motivi letterari sia perché è più prossima al latino. Ne è lo sviluppo diretto. È il latino parlato oggi.

 

 

AMATA DAI SOVRANI - Non solo. Scrive ancora la Andreoni: «L'italiano nel corso dei secoli ha fatto propria la bellezza del latino e del greco. Ma alle due grandi tradizioni classiche ha aggiunto la tradizione culturale sua propria, che prese avvio nel Medioevo con capolavori unici che ancora oggi sono alla base della cultura e della letteratura mondiale, come la Commedia. La bellezza della lingua italiana non può in alcun modo andare disgiunta dalla bellezza della letteratura italiana, e ciò per un duplice motivo: perché l'italiano è nato come lingua letteraria, e tale è rimasto a lungo, e perché la letteratura italiana in sé è tra le più belle e ricche al mondo, e nei primi secoli ha prodotto capolavori che hanno superato il vaglio secolare del tempo e sono stati, come modello e fonte di ispirazione, alla base dello sviluppo di gran parte della letteratura occidentale».

Non a caso l'italiano per secoli è stato la lingua colta internazionale, la lingua della letteratura e delle arti. Nell'Inghilterra del Seicento, la futura regina Elisabetta studiava l'italiano come oggi la classe dirigente impara l'inglese (che è diventata la lingua internazionale solo da pochissimi anni). Peraltro l'italiano, anche nel XXI secolo, non è affatto una lingua marginale se - come rileva la Andreoni - «è la quarta lingua straniera più studiata al mondo, dopo l'inglese, lo spagnolo e il cinese, e prima del francese e del tedesco». Molti, ogni anno, intraprendono lo studio dell'italiano. E il loro numero è in crescita. Dovremmo imparare a considerare la nostra lingua - che è ritenuta bellissima - come parte del nostro patrimonio artistico e culturale. Thomas Mann fa dire a un suo personaggio: «Sono veramente innamorato di questa bellissima lingua, la più bella del mondo... per me non c'è dubbio che gli angeli nel cielo parlano italiano».

PESO POLITICO - La diffusione della nostra lingua nel mondo è un grande fatto culturale, che - fra l'altro - moltiplica i contatti, alimenta il turismo, fa conoscere l'Italia, la nostra letteratura, l'arte del nostro Paese e pure la sua realtà economica. Dà prestigio all'Italia. Dovremmo essere grati a papa Francesco di parlare italiano in tutto il mondo. E dovremmo capire che privilegio e che grande ricchezza rappresenta per il nostro Paese il suo legame profondo e bimillenario con la Sede di Pietro, cuore della cristianità universale. Anche a livello politico, il rapporto con la Santa Sede potrebbe essere prezioso per il nostro Paese, per avere più peso e autorevolezza nei rapporti internazionali. Il Papa è la più alta autorità morale del mondo e - al di là delle fede religiosa o laica di ognuno ciò che egli dice sul momento storico che viviamo, il suo continuo richiamo all'umanità, è frutto di una sapienza che parla alla coscienza di tutti. È bello (e pure ovvio) che il Papa la esprima nella lingua degli angeli. 

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