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Soumahoro, le carte che inchiodano la famiglia: "Razzisti, niente soldi e cibo"

Tommaso Montesano
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Adesso è ufficiale: la procura di Latina sta svolgendo «accertamenti» sulle Cooperative gestite dalla famiglia di Aboubakar Soumahoro, il deputato dell'Alleanza Verdi e Sinistra paladino dei diritti dei migranti. Nel mirino dei pm pontini, dopo le accuse presentate con l'ausilio della Uiltucs, la branca della Uil che tutela i lavoratori del turismo e dei servizi - da alcuni lavoratori, sono finiti il Consorzio A.I.D., il cui presidente è Aline Mutesi, cognata di Soumahoro, la cooperativa sociale Karibu, guidata da Marie Terese Mukamitsindo, suocera del deputato, che è estraneo alla vicenda. In quest'ultima società ricopre l'incarico di «consigliera», come emerge dalla visura camerale, Liliane Murekatete, moglie di Soumahoro. Gli «accertamenti in ordine a eventuali profili di rilievo penale», comunica la procura con una nota, sono affidati alla Guardia di Finanza e riguardano «diversi temi» connessi all'attività delle società.

IL RUOLO DEL SINDACATO
All'attenzione delle toghe c'è soprattutto il materiale raccolto dalla segreteria provinciale della Uiltucs guidata da Gianfranco Cartisano, cui si sono rivolti 26 lavoratori in organico al Consorzio A.I.D. e alla coop Karibu. Si tratta di una piccola parte dei circa 150 dipendenti impiegati, a vario titolo, nell'assistenza di rifugiati e richiedenti asilo, inclusi i minori. Dalla documentazione - di cui Libero è venuto a conoscenza - trasmessa durante le varie fasi della controversia all'Ispettorato del lavoro, alla prefettura di Latina e alla procura, emerge uno spaccato della macchina dell'accoglienza nella provincia pontina. Basti pensare che al momento solo 4 dei 26 lavoratori rappresentati dalla Uiltucs hanno visto regolarizzata la propria posizione, ma solo perché la Prefettura si è sostituita alla procedura di pagamento. Per gli altri, in capo ad altri enti come Regione Lazio e ministero dell'Interno, la situazione è ancora da definire. In totale, fa di conto Cartisano, «sono ben 400mila euro gli stipendi arretrati». Ritardi che la suocera di Soumahoro addebita a sua volta ai mancati pagamenti «da parte della committenza pubblica».

Fatto sta che il contenuto delle chat tra alcuni lavoratori e Aline, la cognata di Soumahoro, è emblematico. In una conversazione tra la fine di giugno e il 1° luglio scorsi, ad esempio, la donna promette di regolare le spettanze chiedendo a un dipendente di produrre una fattura. «Sei riuscito a fare fattura?», chiede all'interlocutore. Che risponde: «Questo lavoro è fuorilegge e tu non hai rispettato ciò che mi avevi promesso». Stessa musica il 2 luglio: «Portami settimana prossima la prima fattura di metà importo 2816,50». Ma quattro giorni dopo l'interlocutore fa capire di non aver ricevuto nulla: «Buongiorno... quando mi pagherai». Per il sindacato Uiltucs il meccanismo sarebbe stato questo: «Si chiede di produrre fatture da soggetti esterni al lavoro per poi erogare i compensi per il lavoro ancora non retribuito». I pagamenti, però, ritardano e Aline tenta di rassicurare i dipendenti: «Ciao Yousef, non ho dimenticato il tuo debito o quello di Mohamed. Dovevamo essere pagati poi hanno richiesto certificati anti-riciclaggio».

Anche Marie Terese Mukamitsindo ha il suo bel daffare per soddisfare le richieste. Ecco cosa le scrive il 3 agosto 2022 un lavoratore: «Aspetto un anno intero per ottenere i miei debiti (...), ma non ho trovato altro che ignoranza, evasione e promesse non mantenute». Il pressing è costante. Ed emergono, nonostante l'italiano stentato, le presunte irregolarità ora al vaglio della procura. «Ci lavoravamo con una paga giornaliera e senza contratto di lavoro, e ci ho lavorato durante le vacanze, i giorni, le feste e tutte le occasioni» (8 agosto). Da qui l'ultimatum: «Tutte le promesse sono errate e non c'è niente che mi faccia aspettare. Il problema ora è che il contratto è concluso» (18 agosto). Marie Terese reagisce: «Non mi potete ricattare siamo qui per colpa vostra». Lo scambio è acceso, il lavoratore fa capire di essere sul punto di denunciare tutto: «Non ricatto nessuno, voglio solo la mia quota... sono in una situazione tragica e ho bisogno di soldi... sono stato uno dei collaboratori nonostante le condizioni di lavoro illegali e senza diritti».

«BRUTTE STRUTTURE»
La suocera di Soumahoro si difende, dice che è solo questione di tempo, ma non basta: «L'ultima volta ci hai chiesto il numero di ore di lavoro, e tutti sanno il prezzo dell'orario di lavoro notturno, oltre che nei giorni festivi e feste, non ho pagato lo stipendio per queste cose... per un anno intero». Poi ci sono i minori ospitati, dai cui messaggi emerge la situazione fatiscente in cui versano le strutture di accoglienza. Denuncia Nader: «Nell'ultimo mese sono stato in casa, l'elettricità e l'acqua sono state tagliate per molto tempo. Non c'è cibo né vestiti. Noi compravamo cibo da fuori». Poi è arrivato lo spostamento a Napoli, un posto addirittura «peggiore. Tutti quelli che lavorano qui sono razzisti». Anche Abdul, 17 anni, tratteggia un brutto quadro: «La casa in cui viviamo non era buona... non c'era nemmeno il buon cibo. Andiamo tutti a magiare fuori (...) l'ultimo mese non c'era acqua né elettricità e la situazione era caotica e hanno chiuso a chiave la casa (...) e ci hanno mandato tutti in posti cattivi e anche maltrattati».

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