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Soumahoro, Alessandro Giuli: il contrappasso, ora è lo "Zio Tom"

Alessandro Giuli
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Ovvio che non poteva prenderla bene, Aboubakar Soumahoro, e infatti ha proclamato che porterà in tribunale chiunque osi ricamare sull'inchiesta della procura di Latina circa l'incresciosa vicenda di sfruttamento minorile che riguarda le cooperative gestite da moglie e suocera del neo onorevole rossoverde. Una storia d'inclusione finita male, diciamo, per due società finanziate l'anno scorso con oltre duecentomila euro a fondo perduto e accusate di averne fatti mancare il doppio ai propri lavoratori (una trentina), affamandoli senza stipendio e trattandoli - sostengono loro - grosso modo come schiavi, talvolta nemmeno in regola.
 

 

INACCETTABILE
Al netto d'ogni possibile e doverosa indulgenza garantista verso gli indagati (lui non lo è), l'iniziativa dei magistrati proietta un'ombra feroce sulla vita dell'ex sindacalista di origini ivoriane che ha modellato la propria immagine sulla necessità del riscatto per gli ultimi della Terra, i deboli e gli sfruttati dal dominio colonialista occidentale. «Non c'entro niente con tutto questo e non sono né indagato né coinvolto in nessuna indagine dell'arma dei carabinieri, di cui ho sempre avuto e avrò fiducia», ha scritto Soumahoro in un lungo post corredato da una foto che lo ritrae nella posa gagliarda delle gloriose Black Panthers, braccio destro svettante con pugno chiuso, sebbene in giacca e cravatta in omaggio al dress code parlamentare da lui impreziosito indossando stivali di gomma nel primo giorno a Montecitorio («non devono essere più intrisi dal fango dell'indifferenza e dello sfruttamento»). Nelle intenzioni quello voleva essere il gesto simbolico che restituiva l'onore negletto del bracciantato mondiale, un colpo di teatro umanitario perfettamente in linea con il suo stile di combattente mediatico prestato al Palazzo dei potenti.


«Non consentirò a nessuno di infangare la mia integrità morale», solennizza Soumahoro, quasi ad arieggiare l'incipit d'un romanzo di Paul Nizan o del più noto pied noir Albert Camus, genotipo letterario dell'Umanità in rivolta (è anche il titolo di un suo libro per Feltrinelli) contro l'ingiustizia sociale e il razzismo, costretto adesso a ricorrere agli avvocati per «perseguire penalmente chiunque infanga il mio nome o la mia immagine, mi diffama o getta ombra sulla mia reputazione».
Guai, dunque, «a chi pensa di fermarmi, attraverso l'arma della diffamazione e del fango mediatico». Poiché, ecco il gran finale in crescendo, «nessuno mi fermerà e nessuno ci fermerà. Il nostro cammino di speranza e di una politica al servizio del NOI non si fermerà né si farà intimidire. Siamo un'umanità che ha deciso di dare una rappresentanza politica a chi ha sete di diritti e dignità. Io sarò al servizio di questa nobile e alta missione».

 


Soumahoro deve aver letto i motteggi derisori dei suoi avversari, quelli che ora gli danno del sedicente puro in via d'epurazione per l'invalicabile e paradossale legge del contrappasso formalizzata a suo tempo dal leader socialista Pietro Nenni e di lì in poi abusata per contrassegnare i rovesci d'ogni suprematismo morale. Quel virtuismo che il nostro deputato ha saputo mirabilmente cangiare in virtuosismo dialettico e indignata rivendicazione militante: «Non ho mai barattato e non baratterò mai la mia ricchezza spirituale con le ricchezze materiali, perché per me la ricchezza spirituale ha la supremazia su quella materiale. Siamo qui di passaggio...». Soltanto poche settimane fa, Soumahoro otteneva le scuse della premier Giorgia Meloni che gli aveva dato del "tu" in Aula nel corso delle controrepliche al discorso d'insediamento per il voto di fiducia: i media fiancheggiatori ebbero buon gioco nell'enfatizzare una punta di retropensiero demonizzante: come potrebbe, in effetti, una postfascista non declassare il suo interlocutore di pelle nera? Da ultimo, il paladino degli stranieri è stato avvistato al porto di Catania intento a monitorare le condizioni dei naufraghi bloccati sulla nave Humanity 1. I suoi social ospitano una piccola galleria di pose pugnaci e accigliate, financo in compagnia di papa Bergoglio (in questo caso, però, con un sorriso aperto di soddisfazione).
 

 

UNA VITA DI DENUNCIA
Ma tutta la sua biografia è un manifesto programmatico di dolente denuncia radicata nella precarietà dell'esistenza grama. Sicché non deve stupire che il suo contrattacco sia intonato all'idea di poter guardare con fierezza negli occhi, «quando giungerà la mia ora di lasciare la terra», tutti coloro che hanno creduto nella sua «buona battaglia». È il grido di dolore del sans-papier avvezzo agli scioperi della fame contro il caporalato, del macroscopico "invisibile" che s' incatenò ai cancelli di Villa Pamphilj durante gli Stati generali della vanità pandemica organizzati da Giuseppe Conte... Il Giuseppe Di Vittorio africano che, proprio no, non ci sta a passare per un ipocrita Zio Tom circondato da schiaviste.

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