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Antonella Viola, la virologa che ci consiglia si smettere di vivere

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Lucia Esposito
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Tutto cominciò col cervello. Quando l’immunologa Antonella Viola affermò che chi beve ce l’ha più piccolo, in tutti noi si materializzò lo spettro della nostra scatola cranica che, sorso dopo sorso, diventava sempre più leggera. Ad ogni «cin cin» un neurone volava via, ad ogni tappo che saltava per aria si volatilizzava anche un po’ della nostra materia grigia fino a ritrovarci con un buco al posto del cervello. La docente di Patologia generale all’Università di Padova che durante la pandemia, come tutti i suoi colleghi frequentava più studi tv che laboratori, aveva apprezzato la decisione dell’Irlanda di avvisare il bevitore con una bella etichetta sulla bottiglia: l’alcol nuoce alla salute.

Come il fumo. I produttori di vino insorsero, la comunità scientifica si divise in una guerra a colpi di studi medici. Impiegammo qualche giorno a smaltire la sbornia di polemiche sul vino che si beve il cervello, ma ecco che ora la dottoressa, in un’intervista al Corriere del Veneto, lancia un altro anatema: il vino è cancerogeno. Oltre a renderci stupidi, manda in tilt le cellule. Aiuto. L’immunologa argomenta la sua teoria nel libro La via dell’equilibro. Scienza dell’invecchiamento e della longevità (Feltrinelli), nell’intervista avverte che è un’illusione pensare di fermare il tempo, tuttavia «possiamo abitare meglio il nostro corpo». Come? Non bevendo vino, ovvio. Acqua per brindare a un incontro, canterebbe Peppino Di Capri. Buon acqua fa buon sangue, nella botte piccola c’è l’acqua buona... Il vino non è l’unico nemico.

 


Viola ci indica un’altra via: digiunare sedici ore. «Nel giro di quattro mesi avevo perso undici chili ed ero tornata nella mia solita taglia. Da allora bevo un solo bicchiere nelle occasioni speciali e cerco di inserire sedici ore di digiuno almeno quattro volte a settimana...». La ricetta è semplice: non bere e mangiare poco. Non osiamo contestare nel merito la dottoressa, ci penserà come sempre la comunità scientifica a confermare se il vino nuoce così gravemente alla salute da far insorgere il cancro, ci diranno gli esperti qual è la quantità giusta di rosso, di bianco e di rosè da bere. La questione, per quanto ci riguarda, è più filosofica che medica. Senza partire dal mito dionisiaco ma volando bassissimi ci domandiamo se un’esistenza di privazioni non equivalga a smettere di vivere. L’equilibro che la Viola – da bravo medico – ci indica è certamente un obiettivo che ci conduce alla sanità e forse pure alla santità, ma che vita è un’esistenza in perenne equilibrio? Senza uno sbandamento che sì, può far cadere, ma può anche dare quel brivido che si chiama piacere (dionisiaco, appunto). Un’esistenza senza la gioia di un rosso corposo e quella vertigine di allegria? Ha senso essere sani come pesci e tristi come Pierrot? Dottoressa Viola, l’equilibrio è una cosa buona e giusta ma sbandare e perfino cadere può essere meraviglioso. Mentre aspettiamo il prossimo studio sul vino, noi continuiamo a brindare usando il cervello. E a vivere. 

 

 

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