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Bagno Piero, Santini: "Vogliamo pagare. Ma i criteri siano chiari"

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Francesco Specchia
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«Si ricorda la partita del secolo?». Italia-Brasile 3-2 mondiali di Spagna? «No, l’altra, Italia-Germania 4-3, mondiali del Messico. Il portiere era Ricky Albertosi. Ecco io, qui, con Albertosi ci gioco tutti i giorni a tressette, e parliamo della direttiva Bolkenstein...».

Roberto Santini sfoggia barba salmastra, completo candido da Noël Coward agli Hamptons e occhiali appannati dal fumo d’uno spaghettino alle arselle succhiato con impegno; se ne sta al tavolino davanti alla piscina del suo Bagno Piero di Forte dei Marmi. Mi cita Albertosi per falsa modestia. Tra le sue frequentazioni avrebbe potuto evocare il premio Oscar Alfonso Cuaròn che qui ha appena girato un film, Robin Williams, mediani che hanno fatto la storia del Milan, pezzi sparsi dei Moratti e degli Agnelli. L’aria è tiepida, la battuta lepida.

Oltre il confine dei suoi ombrelloni da 200 euro al giorno, il titolare mi indica a destra l’ufficio immerso in un caos di scartoffie, gagliardetti del Genoa e foto del papà Piero capitano di lungo corso. E a sinistra occhieggia alle cabine e alle cucine sorvegliate dall’occhio della regina madre, mentre il suo regno di sabbia, tutt’intorno viene attraversato vip silenti, sembrano muoversi tutti in punta di piedi.


Santini lei dice che se giocassimo al Monopoli qui saremmo tra viale dei Giardini e Parco della Vittoria.
«Da qui, vede, ho quasi una visione tolemaica del mondo. Lei non se ne capacita, che tra noi balneari c’è anche una parte sana».


Ricapitoliamo. Lei, patròn di uno dei bagni più storici d’Italia, ritiene che la direttiva Bolkenstein con cui l’Europa ci impone l’asta della spiagge a voi trasmesse in generazioni non sia così male. Corretto?
«La verità sulla Bolkenstein sta nel mezzo: vanno bene le “evidenze pubbliche” (le aste), ma si definiscono i criteri per regolamentarle che devono essere industriali, economici e fiscali, non si butti il bambino con l’acqua sporca».

E il rinnovo delle concessioni fortemente voluto dal governo?
«Trovo una follia il rinnovo al buio. È giusto che il padrone di casa, lo Stato, controlli magari ogni quinquennio, lo stato dell’arte del bene in concessione: quanto è stato investito, quanto rende, quanto fa pagare di tasse. Serve una fotografia accuratissima –che deve emergere da una mappatura doviziosa- che consenta di dire al singolo operatore: tu hai fatto bene, tu benino e devi investire in questo e quest’altro, tu hai fatto male e ti tolgo subito la concessione. Le aste si facciano, ma con criteri chiari».

Ma scusi, al di là del puntiglio della compilazione, la mappatura non dovrebbe già esserci, dal 2021?
«Nel 2021 tutti noi abbiamo fornito allo Stato i dati richiesti.

Si fa prestissimo a controllare.
Non si deve dar retta alla fantomatica lobby dei balneari, se esiste. Il non affrontare il problema è il problema. Davvero: le norme di rinnovo automatico nel milleproroghe bocciato dalla Ue, ci fanno male».

Perché si parla di “federalismo” delle concessioni blaneari?
«Perché, nella selezione di cui sopra l’ente locale dev’essere coinvolto. Per dirle, io, vinta una gara, gestisco la spiaggia libera qui accanto per conto del Comune: 13 euro a ombrellone e servizi igienici e di salvamento assicurati».

 


E questo che significa?
«Che non si possono omologare tutte le spiagge, bisogna ascoltare le esigenze dei territori: la Toscana è diversa dalla Puglia, la Liguria diversa alla Sardegna, le spiagge romagnole col loro modello opposte al modello nostro. Sennò qui le spiagge diventano dei non -luoghi, tutti uguali».
 

Ora mi cita Marc Augé...
«Bè, serve l’anima, aveva ragione Romano Prodi: dobbiamo trasformare l’Italia nella Florida d’Europa. Però più l’Europa interviene, più il centrodestra insiste. Si tira fuori che la Bolkenstein non parla di aste; che se proprio dobbiamo applicarla vale solo per le concessioni dal 2009 in poi; che allora si deve concedere una prelazione ai vecchi concessionari...
«Venga al punto. Le ho detto: le proroghe sono demagogiche. Male dico anche che, senza regole, corriamo il rischio di aprire alle multinazionali che aprono qui e portano la sede legale in Olanda (anche se molti a Bruxelles ci sperano). Ricordo gli interventi di Stefano Fassina, bocconiano, uno della sinistra seria, che metteva in guardia dall’eccesso di liberalizzazione, e dai rischi del dare i lavorii in outsourcing, o da quelli del dumping fiscale, ecologico e sociale».

Giusto. Epperò, quando sente che la lussuosa spiaggia di Cala di Volpe paga solo 520 euro di concessione l’anno allo Stato, non s’incazza pure lei?
«Se fosse vero posso giustificarlo solo pensando che il gestore abbia preso la concessione con un formidabile investimento iniziale che sta ammortizzando negli anni, sennò è inspiegabile. Qui da noi al Forte il volume d’affari medio è di 500mila euro l’anno solo per lettini, sdraio, ombrelloni, più un 35% di bar e ristoranti che fa altri 200mila euro. Io pago 200mila euro allo Stato. Però il costo del personale medio è di 300mila euro l’anno. Dei gestori più grandi, come me, è di 1 milione».

La sua è una posizione di buon senso. Si rende conto che, con tutto il casino che sta facendo la sua categoria (nonostante abbiate contro sentenze definitive della Cassazione e dall’Europa, con minaccia di procedura d’infrazione e sospensione dei fondi Pnrr) probabilmente solleverà un vespaio?
«Me ne rendo conto. Vede, anni fa sbagliammo due mosse fondamentali, quelle per cui oggi la gente non ci vede di buon occhio. La prima quando Tremonti ministro – non si sa se provocatoriamente- propose di triplicare i canoni e noi lo fermammo scendendo in duemila in piazza, trionfanti gridammo vittoria. Col senno di poi dovevamo accettare...».

 



Non fu Tremonti a proporre la proroga di 90 anni per le concessioni, giusto il tempo di organizzare le aste...?
«Nel 2011. Io mi riferisco alla proposta di aumento del 300% nel 2003. La seconda mossa sbagliata fu nel 2010: la regione Toscana applicò l’“Alta valenza Turistica” che per i bagni di rilievo raddoppiava i canoni, e tra quelli c’era anche il Bagno Piero con grande orgoglio. Allora io proposi all’associazione di categoria locale che, dato che il primo bagno di Cecina vale l’ultimo del Forte, d’inserire, in un beau gest, tutti i bagni del paese in “Alta valenza”: un gesto che si poteva estendere a tutt’Italia. Non mi ascoltarono.
Forse però era il caso di pensarci prima, invece ci siamo infilati in un cul de sac».

Il Twiga è praticamente qui accanto. Il suo concorrente Flavio Briatore non la pensa un po’ come lei? Pagate troppo poco, vale solo il criterio della produttività?
«Sì. Anche se poi, nella gestione siamo diversi, lui ha più un format internazionale. Piero è un bagno storico, fidelizzato, familiare. Io sono nato al Forte e qui morirò. Diceva il direttore del Washington Post a Nixon: “Presidente, noi c’eravamo prima di lei e ci saremo anche dopo”. Ma Flavio vive anche lui un’ingiustizia».

Ossia lo scandaloso, incontrollato subaffitto?
«Esatto. Qui bisogna cogliere le aste come un’opportunità. Dato che si faranno per forza, dobbiamo insistere nel rimuovere due ostacoli, due articoli del Codice della navigazione. Il 49 afferma che in caso di perdita delle concessione niente è dovuto al concessionario. Ed è sbagliato: intere famiglie per decenni hanno valorizzato le strutture, gli indennizzi sono doverosi. Poi c’è il 45 bis: permette la subconcessione, per cui c’è gente che affitta dallo Stato a 10 e subaffitta a terzi a 100. La cosa grida vendetta. Il caso di Briatore: paga 200mila di affitto da uno che versa allo Stato solo 17mila euro di canone; poi lasci stare che Flavio è bravo e moltiplica gli introiti».


Per non dire dei suoi colleghi che si prendono i soldi dallo Stato, ma non fanno gli investimenti...
«Quello è un grosso problema. Per chi, come me ha investito 2,5milioni in 15 anni senza considerare la manutenzione ordinaria, è una colpa enorme. Delle due l’una: chi non investe o è incapace o sta ruband».

Santini, lei si sta facendo sempre più amici.
«Guardi, io ho 60 anni spero di lavorare per altri 15, qui mi diverto. Non avessi più la concessione mi dispiacerebbe ma non sarebbe un dramma. L’essenziale è che chiunque arrivi al mio posto, preservi le professionalità locali, i posti lavoro e mantenga la struttura. La paura è un inutile interesse che paghi anticipatamente...». 

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