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Saviano paladino dei fannulloni: "L'orrore del profitto e della fatica"

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Pietro Senaldi
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È ufficiale Saviano si è perso. E non sa più tornare, soprattutto in se stesso. Sono passati anni, di sinistri encomi e vibranti vaniloqui, ma l’autore di Gomorra alla fine si è trasformato da eroe della lotta contro la criminalità organizzata in eroe dei fannulloni. Ha aspettato il Primo Maggio per prodursi in un’intemerata contro il lavoro, anteponendolo come disvalore al valore supremo della vita. Come in una parodia del colonnello Kurtz di Apocalypse Now, Saviano Marlon Brando dei poveri si è scagliato contro l’orrore. “L’orrore del profitto, l’orrore della competizione, l’orrore del merito, l’orrore della precarietà, l’orrore della disoccupazione ma anche l’orrore dell’occupazione, l’orrore della fatica”. Non sono impazzito io, sono parole testuali del fu Roberto da Gomorra, che rimpiange “un mondo in cui esistevano organizzazioni politiche che volevano abbattere il lavoro, in cui gli intellettuali cantavano l’ozio e la pigrizia come condizioni uniche di libertà e le menti credevano che la tecnologia avesse una sola direzione: liberare l’umanità dalla fatica e dal lavoro salariato”.

L’età non ha portato saggezza all’ex ragazzo prodigio di Caserta. Dalla denuncia del clan dei Casalesi, il barbuto letterato è passato alla redazione del decalogo del candidato grillino: una vita in vacanza, senza specificare a spese di chi, perché “più lavoro significa meno risorse, meno tempo e meno vita”. L’espressione cattivo maestro è abusata ma, fate leggere queste scempiaggini ai vostri figli, e chiuderanno i libri di scuola prima di arrivare alla terza riga. Non manca una citazione di André Breton, che Saviano ha conosciuto quando studiava, che per i letterati significa lavorare, nella quale il poeta e critico d’arte francese sentenziava che “non serve a niente essere vivi, se bisogna lavorare”. Il fatto che ieri non si siano registrate dimissioni in massa in tutta Italia significa o che Saviano non è più popolare o che la gente ormai sa come prenderlo, più o meno come un cabarettista di Zelig, più grottesco ma meno spiritoso di Checco Zalone, e comunque mille volte meno realista e responsabile.

 

 

 

I DELIRI DELL’“ARTISTA”

Stare a smontare il deliro dello scrittore con argomentazioni ragionate, spiegare che attraverso il lavoro ci si può realizzare, creare ricchezza, aiutare gli altri, maturare rispetto di se stessi e vivere con dignità, significherebbe prenderlo sul serio. E' inutile. Ormai lui si ritiene un artista della parola, della quale però gli interessa solo il suono, l’effetto che quando la scrivi per quanto più scandalizza ed è forte tanto più è valida. $ la logica dei leoni da tastiera, dell’immondizia che gira sui social e in rete e della quale l’ex guru si fa sommo sacerdote e caposcuola. La deriva dura da tempo, da quel “bastardi” con cui a Piazza Pulita definì Meloni e Salvini perle loro posizioni sull’immigrazione. Saviano ormai comunica solo per insulti.

L’amico è santo e innocente a prescindere, il rivale è uno stronzo qualunque cosa pensi. E' la logica di Putin, di Erdogan e dei dittatori macellai in genere. Se già sono minimamente raffinati, come Xi Jinping, provano ad argomentare. Con la differenza che almeno questi sanno di mentire, invece l’autore di Gomorra sembra credere a quel che dice, il che lo rende ancora più inquietante. E' difficile restare a lungo sulla cresta dell’onda senza farsi prendere la mano, atteggiarsi a santone, a depositario unico della verità e giudice del bene e del male. Serve un equilibrio che il nostro - anzi, il loro - non ha mai dimostrato di avere. Chi gli vuole bene, ormai non credo siano in molti, soprattutto tra coloro costretti a sopportarlo o a dividere spazi di carta con lui, lo aiuti gli parli.

 

 

 

SERVE UNO BRAVO

Gli spieghi che, se proprio non vuole più lavorare nel senso tradizionale e pensa di guadagnarsi la vita scrivendo idiozie degne di un collettivo studentesco, lavori almeno su se stesso. Si faccia seguire da qualcuno di bravo perché altrimenti “la fatica sempre più grande e sempre più fatale” da cui secondo lui rischiamo tutti “di essere travolti”, sarà quella dei suoi lettori che decideranno di seguirlo ancora. Coraggio Roberto, non sei comunque solo. E non ci riferiamo a Di Maio, ormai lavora perfino lui, o ai suoi epigoni. Anche i ragazzi, e i boss, dei clan che tu hai denunciato raggiungendo il meritato successo, anche se qualcuno te lo ha contestato, la pensavano come te, che il lavoro è una maledizione e la vita viene meglio se i soldi sono facili. 

 

 

 

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