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Carlo Rossella, il compagno in triplo petto sente "puzza di fascismo"

Giovanni Sallusti
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Superficialmente, si potrebbe dire che cambia idea con la frequenza con cui cambia abito (purché sia d’alta sartoria). In realtà, Carlo Rossella è sempre rimasto una cosa sola: comunista. Lo disse lui stesso, in un’intervista al Corriere nel febbraio 2019. Ma di quelli veri, quindi ontologicamente allergico al popolo, troppo ostentatamente snob, con più di una punta di razzismo (pseudo)intellettuale.

Sentite l’analisi (o meglio il rilascio di bile) a Di Martedì: «Quella della Meloni mi sembra sia una compagnia non certo frequentabile, il giro meloniano è un giro che non mi interessa frequentare», il tutto ciancicato col sorrisetto nauseato del signorotto di campagna che incrocia i contadini. «Non mi piacciono le idee, il modo con cui si presentano, con cui parlano e ti guardano, anche dalla tv»: è una stroncatura lombrosiana, riguarda i gesti, la postura, la stessa esistenza fisica di questo essere inferiore per natura, il “meloniano”, così indegno di essere ammesso nel giro “frequentabile” da parte degli ex di Lotta Continua (sì, il nostro è passato anche di lì, perché gli piaceva «un certo modo di fare informazione», presumiamo si riferisse ad esempio alle campagne d’odio contro commissari di polizia poi uccisi).

 

Lo stesso Floris sente qualcosa di stonato: «La sua è una critica estetica o politica?». «È una cultura politica che non mi piace, che puzza di una ideologia di tanti anni fa. Nel 1922 è andato al potere lui e nel 2022 è andata al potere lei». Eccola, l’analogia Meloni-Mussolini, il segnale di riconoscimento dei membri dell’Alta Società (come da rubrica tenuta dal comunista in triplo petto su Il Foglio), evocato con nobiliare indignazione da parte di chi nel 1994 divenne direttore del Tg1 anche grazie alla “cultura politica” che veniva dal Movimento Sociale. Del resto, qualche giorno fa aveva già sentenziato sul Fatto Quotidiano: «La premier odora di fascio da un miglio. Penso che abbia dei modi così poco raffinati, e un linguaggio intriso in un livore, un atteggiamento piuttosto plebeo».

Siamo al fascismo olfattivo, quella della Meloni al consesso civile è un’estraneità sensoriale, una puzza di proletariato “indigeribile” per le narici di qualsiasi comunista. Figuriamoci di uno che si definì orgogliosamente “cossuttiano” (quindi iper-sovietico), che non ha mai ritrattato l’amore per il comunismo cubano tutto “sole, musica e ballo” (e dissidenti torturati e ammazzati, transeat) e che recentemente ha ribadito quello per l’Armata Rossa: “Forza Putin!”. Oppure, più semplicemente, il compagno Rossella è stato sì berlusconiano e di centrodestra, ma, è malizia della cronaca, finché ha avuto prestigiosi e remunerativi incarichi nella galassia arcoriana. Ora che è il “giro meloniano” a non filarselo di striscio, prima ancora del contrario, riesuma la falce e il martello dal cassetto sotto l’argenteria. Candidandosi de facto a ideologo dell’ultima versione della sinistra: l’Armocromunismo.

 

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