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Nicola Lagioia, "mettetela a 90": la frase che poteva costargli il posto

Luca Beatrice
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Certo che ha proprio una bella faccia tosta, a farsi paladino delle donne, minacciate da un ministro antiabortista che dunque non può parlare al Salone del libro. Al suo Salone, quello in cui San Nicola Lagioia può fare ciò che vuole e chi lo tocca muore perché se tocchi Nicola ti si rivolta contro il suo cerchietto magico di 18 consulenti pagati euro 65mila che in fondo non sono neanche troppi ma garantiscono un robusto scudo di protezione. Il direttore uscente avrebbe dovuto ricordarsi quanto affermato anni fa nei confronti della scrittrice Melissa Panarello e del suo libro Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire. Cito alla lettera, «con lei c’è una sola cosa da fare. La prendi. La metti a novanta appoggiata a un tavolo. Poi prendi Lolita di Nabokov. Strappi le pagine. Gliele infili una per una nel culo. Dopo un po’, per osmosi, qualcosa assimila per forza».

 

 

 

NESSUNA REAZIONE

Pensate se una frase del genere fosse stata pronunciata da un qualsiasi esponente della destra, sarebbero piovute accuse di sessismo, richieste immediate di dimissioni, pubblico ludibrio e gogna per settimane. È passato un anno da quando Striscia la notizia mandò in onda il servizio che sputtanava il paladino del femminismo, eppure non ricordo particolari reazioni da parte dei politici locali, dei suoi consulenti, delle amichette romane che lo adorano. Avrà commesso un peccato veniale, San Nicola, magari dopo una serata allegra, ma ha chiesto scusa ed è stato perdonato, grazie all’aiuto della moglie Chiara Tagliaferri che ha coinvolto l’“incapace” Melissa in uno dei suoi blog. Una mano lava l’altra.

 

 

 

Fosse stato in America lo avrebbero licenziato subito perché un’espressione violenta verso le donne vale quanto un atto di razzismo, se non peggio. Qui da noi è continuato il processo di beatificazione, a un certo punto non riuscendo a trovare un valido sostituto lo stavano pregando di rimanere. Come te nessuno mai.
Non si possono contestare i meriti di Nicola Lagioia. Ha preso una struttura in grave difficoltà e l’ha portata a ottimi livelli, rintuzzando l’assalto all’arma bianca e scomposto di Milano, anche se il gran pubblico al Salone c’è sempre stato e la trasformazione in evento pop era già cominciata con Rolando Picchioni, l’ex presidente scomparso da poco, nei cui confronti c’è un ingiusto processo di rimozione. 215mila ingressi da giovedì a ieri, in particolare sabato con il record assoluto di visitatori, ma questa voltai numeri sono stati offuscati dalle polemiche, continuate anche dopo l’episodio ormai noto, con tutta la peggior sinistra- i suoi amici scrittori, la segretaria del Pd Schlein - a dire che sì i manifestanti hanno fatto bene a togliere la parola al ministro Roccella. Un’opinione per nulla condivisa dal sindaco di Torino Stefano Lo Russo, solito a comportarsi con garbo istituzionale, a dimostrazione che anche a sinistra ci sono persone con il senso dell’istituzione e dell’equilibrio. Stessa posizione di Alberto Cirio, presidente in Regione, il che suona con un bel grazie e un non arrivederci a presto, visto come sono stati gestiti gli incidenti diplomatici.

 

 


Osannato dai suoi, impalmato pure da parte del centro destra, un po’ per evitare rogne e un po’ perché davvero piaceva, con il suo piglio autoritario e decisionista, dopo sette anni di plausi bi e tripartisan, Lagioia esce di scena malissimo. Nella rissa di sabato ha fatto la figura del fesso, con il suo carisma non è riuscito a riportare la calma, forse in cuor suo godendo della situazione, non ce l’ha fatta a sopportare le critiche aspre di Augusta Montaruli che non gliele ha mandate a dire, ricordandogli il suo dovere a fronte del compenso, 118mila euro più Iva, a cui lui ha risposto stizzito abbandonando il campo come un generale non dovrebbe mai fare. Quasi volesse togliersi qualche sassolino dalla scarpa ieri ad Agorà si è rivisto un Lagioia ben oltre il ruolo pubblico.

 

 

 

 

«Questo governo», ha detto «può avere una virata autoritaria, che non vuol dire fascismo ma un’altra cosa: restrizione della libertà, restrizione dei diritti, nel momento in cui c’è una ministra che è antiabortista io capisco che le donne si sentano minacciate”. Parole da politico, non da direttore. Peraltro, non tutte le donne sono uguali, nella sua visione; Melissa P. potrebbe girare un porno e Augusta Montaruli è una pregiudicata. Avrebbe detto lo stesso se sul palco ci fosse stato Mimmo Lucano, o un giornalista condannato per diffamazione a mezzo stampa? Tra le voci a sostegno anche quella della neodirettrice Annalena Benini. Spera che in futuro non ci saranno più polemiche ma si sarebbe comportata come Lagioia. Forse non ha potuto dire altrimenti?

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