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Torino, Annalisa Chirico contro Segre: il dolore non giustifica questa ferocia

Annalisa Chirico
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Lui si è definito “cornuto”, lei per il momento non proferisce verbo, la città invece straparla e l’Italia intera ragiona di un caso eclatante di corna sbattute in faccia, con la ferocia vendicativa di certi processi di piazza, di stampo islamico, contro la colpevole fedifraga. Non siamo a Riad o a Teheran ma nella civilissima Torino, e il Grande Inquisitore non è un tribunale di barbuti ayatollah ma un noto finanziere e banchiere, del giro di Carlo De Benedetti, di quelli che mai-non-lo-diresti-mai. Così torinesi, così sabaudi. Invece Massimo Segre, da tre anni legato a Cristina Seymandi, trasforma la festa di annuncio delle nozze in una spietata gogna pubblica. Segre non vuole semplicemente lasciare la sua fidanzata, non gli basta troncare la relazione che, a suo dire, lo avrebbe allontanato dai figli («un rapporto deteriorato»), non gli basta dare il benservito privato alla donna che - sempre a detta dell’Inquisitore lo avrebbe tradito con un noto avvocato e prima ancora con un noto industriale (in questa storia se non sei “noto” non esisti). Il “cornuto”, per autoammissione, non vuole semplicemente chiudere con la sua (ex) amata ma vuole umiliarla e denigrarla dinanzi alla folla. Non gli basta la resa dei conti a quattr’occhi, come faremmo noi comuni mortali, non intende rovesciarle addosso, in privato, le accuse e le certezze, rinfacciarle tutto il rinfacciabile, bloccarle la carta di credito condivisa e magari trattenere un paio di regali in un moto d’ira.

 


IL RISPETTO PER GLI ALTRI NON VALE PIÙ
Un uomo tradito è pur sempre un uomo tradito. Noi comuni mortali, scoperto il tradimento, i panni sporchi li laviamo in casa, anzi in appartamento. Ma se invece di un appartamento possiedi una lussuosa villa che guarda dall’alto il Po e la Mole, il pudore dei sentimenti e il rispetto per gli altri non valgono più. Anzi, pensi di poter fare della vita degli altri ciò che vuoi, di poter succhiare il bene e vomitare il male coram populo, davanti a un popolo di amici e poi nel girone infernale della Rete con un video condiviso migliaia di volte. E l’amore che c’è stato, se c’è stato? Esistono molti modi per uscire da una relazione, e quest’uomo sceglie il modo più inelegante, il più feroce e puerile, il meno sabaudo che si possa immaginare.

 


Massimo Segre non è un uomo tradito ma un uomo assetato di vendetta, e la vendetta non è mai giusta. Con tono apparentemente sommesso, lui sciorina implacabile le presunte malefatte di lei in un processo che non ammette diritto di difesa. Il microfono è tutto per il padrone di casa e padrone di ogni cosa, che accusa e sentenzia: «Il dono che ti faccio è la libertà di amare il noto avvocato al quale tieni più che a me». Lei ascolta impassibile la requisitoria e il verdetto, la sua reputazione va in frantumi a favor di teleobiettivo, la forca è pronta.


PETTEGOLEZZO BECERO
Lui, in un eccesso di bontà, tiene a precisare che non esclude, per il futuro, collaborazioni professionali insieme. È magnanimo, non c’è che dire. Seymandi è una quasi cinquantenne, madre di una ragazza, già nota alle cronache di infedeltà politica per la lesta giravolta con cui passò dal ruolo di collaboratrice dell’ex sindaco Appendino, in quota 5Stelle, alla corte di Damilano, il candidato del centrodestra poi sconfitto alle elezioni. Seymandi potrebbe aver commesso adulterio che non è più reato, potrebbe essersi comportata in modo sleale, noi non lo sappiamo, ma resta una persona violentata in pubblico, esposta al ludibrio e al pettegolezzo più becero, per fatti e azioni privatissime che in ogni posto civile, tra persone civili, anche sui colli torinesi, restano questioni private. Il dolore non giustifica la vendetta.

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