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Gaetano Salvemini, il centocinquantenario dimenticato di un pensatore scomodo

Francesco Carella
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Non si può non rimanere perplessi per la scarsa attenzione ricevuta, in occasione del centenario della nascita (l’8 settembre 1873), da una delle figure di maggiore prestigio del nostro Novecento. Si potrebbe dire che a Gaetano Salvemini una certa élite culturale (ancora oggi egemone nel nostro Paese) non ha mai perdonato ciò che lo storico pugliese disse nel 1935 al Congresso degli scrittori per la difesa della cultura. «Nonostante le differenze - affermò - fascismo e comunismo hanno la medesima essenza: negano la libertà». Anni prima aveva scritto che «il marxismo è un filtro meraviglioso per svegliare le anime dormienti, ma chi ne abusa rimbecillisce».

Dopodiché alla storia intesa come lotta fra le classi preferì la tesi di Vilfredo Pareto secondo cui la storia altro non è che «il teatro ove si agitano non le classi sociali, ma le classi politiche o le élites in lotta per il predominio». L’adesione alla teoria delle élites rende ragione delle sue battaglie che furono sempre dirette contro le classi politiche di volta in volta dominanti, quella giolittiana, quella fascista e la post-fascista. Egli era convinto che la lotta politica in Italia dovesse essere di ordine culturale ed è ciò che cercò di realizzare attraverso il settimanale da lui fondato nel 1911, L’Unità. In tal senso, instancabile fu la sua azione a favore del suffragio universale inteso soprattutto come strumento di emancipazione delle masse contadine meridionali (velenose le sue polemiche con i dirigenti del Partito socialistameno convinti dell’opportunità di quella lotta - e da cui si separò nel 1911).

 

 

Lasciò il Paese nel luglio 1925, dopo che venne chiuso il primo giornale clandestino italiano, Non mollare, fondato all’indomani del discorso “di svolta” che Mussolini tenne alla Camera il 3 gennaio dello stesso anno. Fu arrestato, ma ottenne dopo poco la libertà provvisoria. Ne approfittò per raggiungere prima Parigi, poi Londra, per stabilirsi negli Stati Uniti dove sviluppò le sue “Lezioni di Harvard”, un’analisi sulle origini del Ventennio ancora oggi di grande attualità. La lotta contro il fascismo, seppure per mezzo di articoli e conferenze, portò Salvemini su posizioni marcatamente democratico-radicali con una netta ostilità sia verso il fascismo che verso il comunismo di cui comprese la comune matrice totalitaria. Per la sinistra comunista fu un peccato imperdonabile. Tornò in Italia nel ’47, per trascorrere gli ultimi annidi vita a Sorrento, dove morì il 6 settembre 1957. 

 

 

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