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Oscar Farinetti non è più "fico": cosa è costretto a chiudere

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Attilio Barbieri
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Fico Eatalyworld chiude. Il parco alimentare di Bologna serrerà definitivamente i battenti il 31 dicembre di quest’anno. Ad annunciarlo è stato il suo ideatore, Oscar Farinetti, nel corso di un’intervista a Radio24. «Fico è una delle cose che non mi sono venute bene», ha ammesso, «a dicembre chiude e riaprirà ad aprile più bello più e grande, con un altro nome». Fico, acronimo di Fabbrica italiana contadina, aprì i battenti nel 2017 e doveva diventare la Disneyland del cibo italiano. Si è rivelata un flop epocale. Mai in attivo, la creatura di Farinetti ha chiuso il bilancio 2022 con perdite per 6,5 milioni di euro, debiti per 18 milioni e un patrimonio negativo per 10 milioni secchi. Tanti. Troppi per i finanziatori stufi di pompare risorse regolarmente inghiottite da quella che si è rivelata una gigantesca macchina mangiasoldi. È naufragato anche l’ultimo tentativo di rilancio, con Farinetti disposto ad acquisire il 60% del parco con l’obiettivo di raggiungere il bilancio nel 2025. Quest’anno l’attività non si è interrotta grazie alla liquidità assicurata da Farinetti e Coop Alleanza 3.0. Nel solo mese di marzo scorso Eataly, altra creatura di Farinetti, ha rinunciato a crediti finanziari e commerciali verso Fico per 4,6 milioni. Il 30 marzo, poi, la Coop ha versato un ulteriore milione.

ROSSO PROFONDO
L’esercizio 2022, il primo dopo la pandemia, è stato deludente sotto tutti i punti di vista. I visitatori sono stati in tutto 300mila. Tanti, ma largamente sotto le attese: si puntava a mezzo milione di ingressi. Nel frattempo i debiti che a fine 2021 erano già di 13 milioni di euro sono saliti a 18, dei quali 9 verso i fornitori e 4,7 con le banche. Senza contare i denari che ci ha messo il Comune di Bologna, proprietario dell’area su cui è sorto il parco alimentare da 100mila metri quadrati. Nonostante un battage pubblicitario imponente e l’effetto trascinamento dell’Expo 2015 di Milano, la scommessa di Fico è parsa in salita da subito. Troppo costoso alimentare un’attività che impegnava centinaia di persone su più turni, numerosi locali, un numero imprecisato di laboratori. Così, dopo la curiosità iniziale, gli immensi spazi di Fico si sono ritrovati desolatamente vuoti: vissuto dalla città come un corpo estraneo e snobbato dai turisti che hanno preferito mangiare sotto i portici del centro di Bologna e visitare le eccellenze gastronomiche direttamente dai produttori, la «Fabbrica contadina» artificiale ha finito per assomigliare sempre di più a una cattedrale nel deserto. Fino all’epilogo annunciato ieri dal suo creatore che ho provato fino all’ultimo ad evitare la fine ingloriosa.
Inutilmente.

NUOVO RILANCIO
Sulle ceneri di Fico, secondo Farinetti, dovrebbe sorgere una nuova struttura. «Si chiamerà Grand Tour Italia», ha spiegato ai microfoni della radio di Confindustria, «e rappresenterà un viaggio nelle regioni. Si entrerà in Val d’Aosta, si uscirà dalla Sicilia e dalla Sardegna passando in mezzo a tutte le regioni italiane. Rappresenteremo la biodiversità con le osterie che cambieranno tutti i mesi, le regioni che porteranno il loro folk. Sono arrivate le critiche e le critiche vanno accolte, si deve prendere atto e cambiare. Abbiamo una bella squadra e il parco tornerà più bello e più grande che prima». Resta da capire sevi siano osti disponibili ad assecondare il nuovo sogno “farinettiano”. E pure cosa ne sarà dei 18 milioni di debiti accumulati. Nell’avventura che finirà il prossimo 31 dicembre sono stati coinvolti ingenti investimenti privati da parte di numerosi fondi, con la partecipazione diretta di tanti marchi importanti del food made in Italy. Negli ultimi mesi è stato anche introdotto un biglietto d'ingresso, a partire da 10 euro, che ha però allontanato ulteriormente visitatori locali e stranieri. Con un paradosso imbarazzante: proprio mentre Bologna ha conosciuto un incremento turistico senza precedenti, con i bar e i ristoranti del centro che hanno fatto affari d'oro, Fico è rimasto sempre più vuoto, abbandonato negli ultimi mesi pure da molte delle aziende che inizialmente avevano creduto con entusiasmo nel progetto. 

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