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Pro Vita, Luca Bottura sfotte anche sulla molotov: "Quattro pernacchie un attentato?"

Luca Bottura

Giovanni Sallusti
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Nulla di peggio del fascismo degli antifascisti. Potremmo fermarci qui, basterebbe l’aforisma definitivo di Pier Paolo Pasolini. Ma il lettore merita di essere informato sulla reazione delle anime belle all’attacco squadrista che i più scalmanati e le più scalmanate dentro il corteo di Non una di meno hanno condotto contro la sede di ProVita&Famiglia. Vetri spaccati, fuoco appiccato alle serrande, scritte pacifiste e inclusive come “Bruciamo i pro vita”, perfino il reperimento di una bomba molotov. Riassunto così, è esattamente il campionario che dovrebbe far scattare qualunque “antifascista” appena decente. Il problema è che i nostri non sono antifascisti decenti, sono antifascisti di professione, hanno fatto dello strabismo politico e morale la chiave delle loro grandi o (più spesso) piccole carriere, e quindi quando la molotov è femminista, quando l’invito a “bruciare” l’avversario ha mittente arcobaleno, quando il Fascismo è quello dei Buoni, viene declassato a goliardata, se non capovolto in gesto meritorio.

Il più sfacciato è stato Luca Bottura, un tentativo di giornalista satirico il quale l’unica volta che ha fatto ridere in vita sua è stato quando ha lamentato un’inesistente epurazione dalla Rai. «Se quattro pernacchie davanti a una sede diventano attentato terroristico, mi sa che non siete così machi come volete far credere».

 

 

La colpa è vostra, aggrediti di ProVita, perché non siete stati machi, nonostante siate orridi machisti reazionari, e quindi dichiarare l’intenzione di darvi fuoco equivalga a una boccaccia ludica. È la narrazione psichedelica di Il giornalista Lu un tizio che nel suo profilo X si presenta “contro tutti i fascismi”. È poi intervenuto un plotone di scrittrici radical (chic sarebbe troppo, onestamente). Valeria Parrella e Viola Ardone se la sono presa con la premier, rea di aver espresso solidarietà al movimento ProVita. La prima bacchetta: «Presidente, però usiamo gli aggettivi in maniera propria: imbrattata significa imbrattata» (la molotov probabilmente era spray simpatico). La seconda trasecola: «Io non so come si pensi di ca Bottura (Ftg) fare politica coi tweet, strumentalizzando ogni singolo avvenimento, dalla pesca di Esselunga a una saracinesca imbrattata» (anche qui, la bomba è la grande assente).

 

 

Tal Sarita, scrittrice attivista “senza congiunzione” (pare sia molto importante), si dà ai paradossi della fisica: «Come hanno fatto i manifestanti a infilare una bottiglia piena di polvere pirica all’interno dell’ufficio? Col mantello dell’invisibilità?». In realtà è stata ritrovata una vetrina sfondata, ma non conta, la cronaca è abolita in nome del puro collaborazionismo con l’aggressore. Ciro Pellegrino, caporedattore di FanPage, giornale che scorge sintomi di violenza sovranista in ogni alzata di sopracciglio della Meloni odi Salvini, bullizza espressamente: «Alle ore 18 ci sarà il bollettino medico della serranda di Pro Vita». Ma la vera perla è forse quella di Elio Vito, una vita in Forza Italia, ora una vita da trombato risentito. «È grave che Meloni metta sullo stesso piano l’assalto alla Cgil e la contestazione davanti alla sede di Pro Vita». È una versione all’italiana di Orwell: alcuni squadristi sono meno squadristi di altri. Prima erano rossi, oggi sono fucsia, ma tirano sempre molotov democratiche. 

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