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Storace: "L'imputato Saviano fa il perseguitato"

Francesco Storace
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Roberto Saviano insiste: pensa davvero di essere un eroe. E anche ieri sul palcoscenico del tribunale di Roma ha recitato la solita commedia: stavolta contro Matteo Salvini. Dopo aver perso nello stesso luogo contro Giorgia Meloni. Siccome il vicepremier non ha potuto essere presente al processo Saviano – anche se lo scrittore imputato lo chiama col nome della vittima che ha denunciato – l’occasione è servita alla solita cagnara. Seguita dal solito codazzo di giornalisti adoranti. Col suo tipico linguaggio estremistico – è proprio Saviano a dire che ci vogliono «parole dure» contro la politica – ha atteso la fine dell’udienza per annunciare che «Salvini scappa». Abbastanza sgradevole, diciamo, e anche verso se stesso. Saviano fa la parte dell’omone nerboruto che le vuole suonare al nemico e non capisce che ci sono anche impegni che pure il giudice definisce legittimi.

 


Ieri c’era la causa per la querela intentata da Salvini. Tra le tante «parole dure» di Saviano c’era anche la definizione di «ministro della malavita» rivolta all’allora titolare del Viminale. Per non dire il resto con cui esaltare i propri tifosi per farsi omaggiare di like che non assolvono. Ieri Salvini ha fatto sapere che era impegnato «in una serie di iniziative istituzionali, anche pubbliche, tra cui un evento insieme a 500 persone in difficoltà, soprattutto bimbi stranieri orfani e malati, cui Fondazione Fiera e Progetto Arca hanno offerto un concerto, un pranzo e una giornata di amicizia e serenità». Meritatissima la chiosa della Lega rivolta allo scrittore piangente: «Salvini avrà altre occasioni per incontrare il livoroso Saviano». Quest’ultimo ha indossato i panni del perseguitato, dimenticando che l’imputato è lui e non il leader della Lega. Questo il frasario adoperato: «Non si è presentato. È scappato, come immaginavo. Probabilmente è spaventato dal dover rispondere in tribunale di tutto ciò che ha detto e le minacce che ha fatto nel corso degli anni. Questa è la mia ipotesi, la mia congettura». In realtà il processo lo fanno a Saviano perché quello che ha detto nel corso degli anni riguarda lui e non il ministro. La diffamazione è un reato. 

 

 

 

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