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Roberto Saviano fa il martire: si paragona ad Enzo Tortora

Giovanni Sallusti
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Le autosconfessioni intellettuali sono sempre spettacolari. Se poi involontarie, significa che d’intelletto in realtà ce n’è poco, ma in compenso la comicità deborda. Roberto Saviano non lo sa, ma durante l’ospitata di ieri a Muschio Selvaggio, il poadcast condotto da Fedez e dall’influencer Mister Marra (se Benedetto Croce non fosse già passato a miglior vita si sarebbe senz’altro unito all’aulica compagnia), ha demolito le idee e la condotta di Saviano Roberto. Oltre che la credibilità, arrivando a instaurare un’analogia tra se stesso ed Enzo Tortora, ma procediamo con ordine.

La puntata voleva essere un racconto del calvario giudiziario che travolse il grande conduttore, nonostante Saviano non sia esattamente un campione della causa che coincise con la stessa lotta esistenziale di Tortora, quella del garantismo. A un certo punto l’autore di Gomorra si esercita nel genere che gli riesce meglio, quello dell’intemerata: «La fama genera un giudizio senza conoscere, perché se tu sei famoso qualsiasi individuo è legittimato ad avere un’opinione su di te basata sull’istinto, hai la faccia da cattivo, non me la conti giusta...».

Quindici informa sofferente: «Quando vado nelle scuole dico sempre che la fama è una roba orrenda». Hai ragione Roberto, quanto è ingiusta l’isterica macchina della comunicazione contemporanea, che ti porta ad attaccare la persona nota invece delle sue idee, ad insultare con le viscere piuttosto che argomentare con la ragione. Ti sottoponiamo qualche esempio di “giudizio” assai “basato sull’istinto”, lievemente inquinato dalla presunzione lombrosiana che il nemico abbia “la faccia da cattivo”, eccetera eccetera. “Assassino”. “Criminale”. “Fastidioso parassita”. “Bandito” che “vuole far annegare le persone”. C’è persino una domanda retoricamente allucinante, nel repertorio: «Lei che sottolinea di essere padre, quanta eccitazione prova a vedere morire bimbi innocenti in mare?». Pensa, tutto questo campionario di epiteti stilnovisti e quesiti eleganti è stato gettato addosso a Matteo Salvini dal signor Saviano Roberto. Lo stesso che, spiegando il proprio civile dissenso da Giorgia Meloni, berciò nel salotto di Piazzapulita: «La mia è una campagna d’odio? Lo sia!».

 

 

 

Ora, una “campagna d’odio” è esattamente ciò a cui fu sottoposto Enzo Tortora, ma se aspettate che glielo facciano notare Fedez e Mister Marra, state freschi. Anzi, lo scrittore che ha definito «bastardi» il premier e il ministro dei Trasporti perché conducono una politica dell’immigrazione diversa da quella che lui auspica (è la dannata democrazia, avversata fin dalla collaborazione giovanile con la testata Il Bolscevico), sembra ostentare un meccanismo di proiezione con la figura del perseguitato. Sempre ieri, su X si è atteggiato a martire del libero pensiero perché giovedì Salvini dovrebbe testimoniare nel processo che, incredibilmente, gli ha intentato per diffamazione. Nel podcast ha invece citato la famosa frase di Tortora: «Speriamo che il mio sacrificio sia servito a questo Paese e che la mia non sia un’illusione».

 

 

A Fedez, invece che chiamare un’ambulanza, è sembrato intelligente buttare lì: «Mi dispiace dirlo, purtroppo forse è rimasta un’illusione la lotta di Enzo Tortora». E in effetti ha ragione, ma per motivi opposti, per il fatto che il nome dell’ex radicale e libertario può essere sbandierato senza ritegno dall’ipergiustizialista Saviano. Il quale possiede un invidiabile sprezzo del ridicolo, visto che riesce a prendersela con «lo strumento giudiziario come elemento per delegittimare o attaccare chi non sopporti o consideri un tuo nemico». Lui, che ha scagliato l’etichetta di mafioso contro qualunque avversario politico. Lui, che ha descritto Salvini come «il ministro della Mala vita», lo ha apostrofato come «assassino» e «mandante di un sequestro plurimo», quindi lo ha accusato gratuitamente di reati gravissimi e indimostrati. Se fosse consapevole, sarebbe un’autocritica straordinaria. Già, se fosse. 

 

 

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