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Olindo e Rosa, Vittorio Feltri: "Perché li hanno condannati. Da 17 anni dico che sono innocenti"

Simona Bertuzzi
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Direttore Feltri, lei ha sempre sostenuto l’innocenza di Rosa e Olindo. Come ha accolto la notizia della riapertura del processo? «Sono molto contento. Le prove raccolte (che peraltro non c’erano) non potevano assolutamente incolpare due persone che hanno fatto una confessione ridicola perché evidentemente gli investigatori avevano trovato il loro punto debole». «Rosa e Olindo erano smarriti di fronte a certe accuse e siccome gli investigatori gli avevano promesso mari e monti se avessero confessato, i due da autentici allocchi hanno abboccato e hanno rilasciato una confessione che d’altro canto non sta in piedi».

Lei l’aveva capito subito.
«Io mi sono convinto che fossero innocenti ben prima che facessero la confessione perché se vi ricordate il vecchio Mario Frigerio che è stato massacrato, ma che è riuscito a sopravvivere alla strage, quando fu interrogato, disse che non era Olindo quello che l’aveva colpito e fece una descrizione contrastante con l’aspetto del signor Romano. Non lo citò neppure, eppure lui e Olindo vivevano nello stesso palazzo. Mi sono insospettito perché dopo qualche giorno anche Frigerio cambiò versione e dichiarò che l’aggressore era Olindo. La condanna è avvenuta su questi fatti qui».

 

 

 

Perché dice che non c’erano prove?
«Non ce n’erano. Non c’erano tracce di sangue. Dopo il massacro che era stato compiuto in quella casa, nell’appartamento di Olindo e Rosa che vivevano al piano di sotto non è stato trovato niente, una traccia di sangue, degli abiti sporchi, nulla. Nonostante ciò li hanno condannati perché urgeva trovare dei colpevoli da dare in pasto all’opinione pubblica che era provata per quel delittaccio multiplo».

I colpevoli perfetti...
«Perfetti... ma non c’era neanche una motivazione. Figurati se dovevano fare un massacro del genere, per quale motivo? Con quale ritorno o vantaggio? Niente!
Tra l’altro avevano promesso loro che sarebbe stati lasciati insieme in galera e i due, pur di stare insieme, erano disposti a far qualsiasi cosa. Invece non hanno mantenuto la parola perché li hanno separati e continuano a vivere separatamente, il che dispiace sia a lui che a lei».

Hanno sbagliato le indagini o avevano bisogno di trovare un colpevole?
«Come ho detto, la cosa più urgente era trovare un colpevole per l’opinione pubblica che era rimasta scossa giustamente da un fatto del genere e poi c’è una certa abitudine alla sciatteria nelle indagini e nel trarre le conclusioni. Ne consegue che questi signori sono vittime di un pressapochismo giudiziario che mi lascia veramente interdetto».

Ci sono voluti diciassette anni per decidere di rifare il processo.
«Anche questo mi sembra veramente assurdo, però non voglio parlare della giustizia perché sono sempre i soliti discorsi. Siamo di fronte a un fatto che lascia sbigottiti tutti, in effetti nessuno ha potuto credere alla loro colpevolezza, era veramente paradossale pensare che una donnetta alta un metro e venti potesse fare tutta quella strage».

Lei allora era uno dei pochi a pensarla così.
«I ragionamenti che ho tentato di abbozzare adesso li facevo anche allora. Non ho mai bevuto questa storia, e non è stato un atto di eroismo ma solo di coerenza. Mi è capitato altre volte, anche per il delitto di Garlasco, ricorda... quel ragazzo è stato assolto in primo grado e in appello, e poi in Cassazione è stato condannato. Allora vuol dire che i giudici di terzo grado hanno dato degli imbecilli ai giudici di secondo e di primo grado, non so se è chiaro il discorso».

Chiarissimo. In questo caso c’è voluto il lavoro straordinario del procuratore generale Cuno Tarfusser. Lei scrisse che la sua relazione sul caso è un’opera d’arte.
«È verissimo... il procuratore è stato molto bravo, intanto perché si è preso la briga di fare questo lavoro, e credo che pochi magistrati abbiano questa forza, questa voglia di far fatica per far trionfare la giustizia. Vedremo come andrà il processo perché non è detto che li assolvano, ma se non altro c’è una dimostrazione di buona volontà da parte di un procuratore che va elogiato. Ho molta stima di questo signore anche se non l’ho mai visto».

 

 

 

Direttore, ma lei si è fatto un’idea del vero colpevole della strage di Erba?
«C’erano degli spacciatori di droga che frequentavano la casa e sa, quando si spaccia la droga, ci può essere motivo di attrito con altri che la spacciano, complici o meno. Mi sembra più probabile un’operazione del genere perché non è che una moglie e un marito si svegliano una mattina e vanno a fare una strage, è ridicolo».

Che opinione si è fatto di Azouz Marzouk, il marito di una delle vittime (Raffaella Castagna) e padre del piccolo Youssef?
«Purtroppo nessuno mai ne ha tracciato un profilo. Sospettavo che anche lui facesse parte di una qualche organizzazione criminale e che fosse accaduta una sorta di vendetta però questa è un’ipotesi un po’ romanzesca. Io non lo conosco questo signore e non so niente, ma ricordo che lui stesso ha affermato che non credeva nella colpevolezza di Olindo e Rosa».

Anche col caso Tortora lei all’inizio fu uno dei pochi, forse il solo, a credere nella sua innocenza.
«Ero stato assolutamente il primo, e anche lì non è che abbia fatto un atto di eroismo, semplicemente ho letto le carte e ho visto cose assurde che non stavano né in cielo né in terra. Per esempio il fatto che lo spacciatore Melluso, che era stato interrogato, avesse detto di aver consegnato una scatola da scarpe piena di droga a Tortora in piazzale Loreto, e dopo qualche giorno interrogato nuovamente avesse parlato di piazzale Lotto. Questo è normale, uno che non conosce Milano può confondere Loreto con Lotto. Ma c’era il particolare del giorno, lui ricordava che era il 5 maggio, una data famosa, subito ho pensato che potesse essere realistica invece ho telefonato a un archivista molto bravo del Corriere della Sera e gli ho chiesto di andare a verificare dove si trovasse questo Melluso il 5 maggio del tal anno, e lui dopo un paio d’ore mi ha richiamato dicendo che questo signore era rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Campobasso. Lì ho compreso qualche cosa di più, poi ho trovato un’agendina di un altro pentito, che aveva il nome Tortora e un numero di telefono accanto che nessuno aveva fatto... Ho composto il numero di questo Tortora e mi ha risposto un tizio dicendo “ma che cazz vuo’ vafancul stronzo e’ merd...”. Ho capito tutto, non credo di essere stato particolarmente intelligente, era ovvio».

Tornando a Rosa e Olindo, cosa accadrà secondo lei?
«Staremo a vedere ma adesso il processo non potrà che essere più meticoloso e accurato. Sono convinto che alla fine Rosa e Olindo la spunteranno. Tuttavia, non sarà un trionfo della giustizia ma una vergogna della giustizia che ha messo in galera per diciassette anni due persone innocenti costrette a confessare con la blandizie e con delle promesse che non sono state mantenute».

E chi li risarcirà, se saranno giudicati innocenti?
«Non conosco i meccanismi del risarcimento. A me sembrerebbe normale consentire loro di vivere l’ultimo tratto della vita in una situazione di tranquillità». 

 

 

 

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