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Fulco Pratesi, la campagna ecologista? "Se fai la doccia perdi i capelli"

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«Colui che dominava gli odori, dominava il cuore degli uomini», Fulco Pratesi, leggendo, da giovane, dei tripudi olfattivi di Patrick Süskind deve aver equivocato. Afrore e odore sono due percorsi esistenziali differenti, per salvare il genere umano. Fulco, una Greta Thunberg che ce l’ha fatta. Oggi Partesi ha 89 anni, e vanta, nell’ordine: una simpatia per i ratti, gli scarafaggi e i gabbiani che si vanta di aver importato a Roma; un’idiosincrasia per ogni tipo spreco («non serve cambiare il piatto, la frutta si mangia in mano come le scimmie»); un’ spetto, inevitabile, da allegro clochard. In epoca di transizione ecologica, quest’artista del razionamento torna a ricordarci, in un’intervista a Giovanna Cavalli sul Corriere della sera, le proprie benemerenze supergreen, la primogenitura dell’ambientalismo ad ogni costo. Sempre in bilico tra la realtà e il sogno, la zozzeria e la decrescita felice, egli rammenta di quando, nel lontano 1966, da fondatore del Wwf ed ex cacciatore folgorato sulla via d’un orso damascato, decise di bandire l’acqua e il sapone. Elementi che divennero esiziali nel grande disegno d’un ritorno a un mondo selvatico e roussoviano.

L’acqua, soprattutto, è il bene più prezioso. «Ognuno ne spreca 400 litri al giorno» avverte, anche mi pare un calcolo un tantino ardito a meno che uno non faccia il bagno in un’autobotte. L’acqua, per Fulco, va centillinata, perché, a piccole gocce, ha il compito di ripulire la bituminosa coscienza degli uomini. «La faccia e le ascelle e i punti critici mattina e sera, con una spugna e i barattoli, in modo da non sprecare l’acqua quando scende dal rubinetto. Mani e piedi, rapidissimamente», spiega Fulco alla collega Cavalli. La quale collega comincia ad accigliarsi e a sospettare. E a prendere le distanze. Fisicamente, intendo. 

 

 

Pratesi, dinnanzi a lei, è un fiume –razionato- in piena: «Per i denti chiudo subito il rubinetto e uso sempre lo stesso bicchiere: l’acqua la uso per risciacquarmi la bocca, prima di buttarla via. La barba non la faccio con il rasoio elettrico, perché anche l’energia è importante. Pure lì, faccio cadere l’acqua in un recipiente e poi quando ho fatto la uso per ripassarla sul viso. Non uso mai il phon». Cavalli decolora. Comincia ad affondare nell’imbarazzo. Al chè Pratesi parla di una questione quasi religiosa: si è autoprecluso la doccia da millenni, da quando giocava a rugby al liceo perché «l’acqua dall’alto fa perdere i capelli, infatti io ce li ho belli folti». L’acqua fa perdere i capelli. La Cavalli, qui, comincia a perdere l’aplomb, e ad avvertire pungenti esalazioni che le sue narici finora avevano finto d’accogliere come zefiri gentili.

 

 

L’argomento, poi, si sposta su un concetto dogmatico. Lo sciacquone del wc. Lo sciacquone in sé, per Fulco, è nemico delle civiltà. «Se è per una pipì non si usa, nemmeno con il bottone più piccolo. Dopo due o tre volte va bene». E, ancora, Fulco torna a discettare sul suo lavacro con la spugnetta monouso del cesso. A quel punto, immagino la Cavalli che a sua volta s’immagina il gesto dell’abluzione pratese. Il frenetico andirivieni della spugna sul corpo della “scimmia nuda” come ama definirsi il Fulco. Un rito dal richiamo ancestrale. Pennellate di umido nulla, «sempre con la stessa spugna», su quel corpo carico di storia che farebbe la gioia dell’antropologo Desmond Morris. Su e giù. Giù e su. Metti la cera, togli la cera. Cavalli, che è collega di pulizia morale e presumibilmente intima, non fa un plissè; ma se ne avverte la sofferenza interiore.

 

Il tuono arriva con le mutande. Siccome -dice Fulco- bisogna pensare «a quanto servirebbe quell’acqua ai bambini del Burkina Faso», Fulco le mutande se le cambia «in maniera molto ecologica, ogni due-tre giorni, ma a volte di più. Comunque controllo: si capisce quando è arrivato il momento». Controlla. E qui la fantasia di Giovanna esplode: conati semantici, bisogni primigeni, il passaggio filosofico tra l’escatologico e lo scatologico, tra i destini del mondo e quelli dell’umana eiezione. «Papà perché questo signore può fare le sgommate e io no?» mi fa mio figlio piccolo al quale, spiazzato, io fornisco slip a ritmo frenetico. Poi, mi ricordo di quando Pratesi suggeriva di lasciare i cadaveri nei carnai, per nutrire gli uccelli, specie gli avvoltoi sardi e i capovaccai delle colline di Roma Nord. Non sola Cavalli, ma io domani vendo il canarino, me ne fotto della Thunberg e mi metto l’idromassaggio... 

 

 

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