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Agnelli, l'incontro fallito: ecco come è iniziata la guerra in famiglia

Claudia Osmetti
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«È incredibile come un manager importante, conosciuto nel mondo, alla guida di società dai fatturati miliardari come John Elkann non sia in grado di trovare un modo per fare la pace con sua madre, cioè per sedersi a un tavolo e interrompere questo stillicidio di problemi». Gigi Moncalvo è il giornalista che, probabilmente, conosce più di tutti la saga dell’eredità degli Agnelli. Mica a caso ha scritto su di loro almeno tre libri (Agnelli coltelli e Agnelli segreti editi da Vallecchi e I lupi e gli Agnelli per Rubbettino). Ma è anche uno, Moncalvo, che non ci gira in tondo.

Gli strappi in famiglia, le battaglie legali (due in Svizzera e una a Torino, più l’inchiesta che ha aperto giovedì la procura piemontese), i testamenti redatti in Svizzera da Marella Agnelli, la moglie dell’Avvocato; gli Elkann da una parte e i de Pahlen dall’altra, tutti figli però di Margherita Agnelli; sedici anni di veleni, sospetti e accuse più o meno reciproche. Loro, gli Agnelli, che «vestivano alla marinara», che sembravano una dinastia perfetta, almeno finché c’era Gianni, che erano una sorta di mito: e che di quelle fotografie in giardino, tutti assieme, sorridenti, i bambini i mezzo ai fiori, un po’ come i Kennedy, un po’ come lo sono sempre, i ricordi, non resta quasi nulla. Se si ritrovano, è in tribunale. Se parlano, è per tramite di un pool di legali. Se provano a ricucire, litigano ancora di più. «Quelli che sono riusciti ad avvicinare John Elkann, sia in famiglia che in altri ambienti», racconta Moncalvo, «non l’hanno convinto, perché a questo punto è diventata una questione personale e difficilmente sanabile».

 

 

 

Ricorda l’incipit di Anna Karenina: quello delle famiglie felici e di quelle infelici. Solo che, se nel mezzo ci metti un patrimonio stimato di 4,6 miliardi di euro e le azioni della Dicembre che è al vertice di un gruppo il cui asset sfiora i 30 miliardi, anche Tolstoj cambia registro. Le cause, i cavilli, i documenti. In una parola: l’eredità. «Una possibilità di incontro tra madre e figlio c’è stata», racconta Moncalvo, «qualche tempo dopo i funerali di Marella, nel 2019. La madre (ossia Margherita, ndr) invitò tutti per “una passeggiata intorno al lago”, con lo scopo di chiarirsi e parlare. Fissarono anche una data, ma poi lei pose una condizione. Disse: “John, chiariremo molte cose alla presenza del mio avvocato”. Lui le rispose duramente e tutto svanì, non se ne fece più nulla».

E anche al momento dell’apertura dei testamenti di Marella, quei testamenti che sono al centro dell’azione civile che Margherita ha portato avanti a Torino, «si è aperto un nuovo scontro: Margherita chiese l’intervento dell’avvocato perché aveva appreso che qualche mese prima, ai funerali della madre, quando si erano abbracciati tutti con le lacrime agli occhi, commossi, John aveva appena telefonato ai suoi legali di Ginevra dicendo di depositare in tribunale la causa che lui aveva fatto contro di lei, quella in cui Margherita aveva chiesto l’annullamento degli accordi del 2004», cioè quelli immediatamente dopo la morte di Gianni. «Margherita aveva fatto causa a Marella, ma venendo a mancare Marella ha spostato la causa su John il quale, difendendosi, ha a sua volta denunciato la madre, chiedendole addirittura i danni patrimoniali e morali. A quel punto le ferite sono davvero diventate ancora più profonde».

 

 

 

E si arriva alle notizie di questi giorni, finite su tutti i giornali, riprese da tutte le televisioni, perché se anche quel nome, Agnelli, sui documenti societari circola sempre meno e si legge sempre di più quello degli Elkann, restano pur sempre gli Agnelli, un pezzo di storia, un pezzo d’Italia: «Margherita va avanti in maniera documentata, si concentra sulla dimostrazione che sua madre non risedeva in Svizzera per i 181 giorni previsti dalla legge». Non è un dettaglio insignificante: «Se si dimostra che la residenza è fasulla, vuol dire che per regolare la successione vale il diritto italiano che prevede che la figlia prenda il 50% del patrimonio». Fine, o forse no. È ancora tutto da vedere. 

 

 

 

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