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Enrico Facco, "cosa si vede quando si è tra la vita e la morte"

Hoara Borselli
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Che cosa avviene quando ti trovi fra la vita e la morte? Un tema misterioso e affascinante, sollevato questa volta dal professor Vittorio Emanuele Parsi, politologo molto noto, che nelle scorse settimane ha vissuto un periodo di coma, ha sfiorato il decesso e poi si è ripreso. E ha raccontato l’esperienza che ha attraversato, e di cui ha mantenuto il ricordo. La questione è enorme. Riguarda la medicina, la psichiatria, la filosofia, la religione. E anche la ragione. Ne abbiamo parlato col professor Enrico Facco, che insegna a Padova, è specializzato in neurologia e anestesiologia, ha lavorato per trent’anni nei reparti di rianimazione, ha vissuto importanti esperienze in questo campo. Diciamo dunque che è uno dei massimi esperti italiani della materia.

Il professor Parsi ha raccontato le sensazioni provate in giorni nei quali, in seguito a un aneurisma dell’aorta e a una difficile operazione chirurgica, è rimasto in coma. Che cosa succede in quei momenti?
«Nelle cosiddette esperienze pre-morte (che in gergo si chiamano “NDE”, Near Death Experiences) ci sono tratti comuni a tutte le persone e a tutti i popoli. Succede di vedere un tunnel, con o senza luce in fondo. Di osservare il proprio corpo dall’alto, magari mentre i medici cercano di rianimarlo. Dopodiché si attraversa il tunnel e si entra in una dimensione che non è quella conosciuta, e in quella realtà si possono avere incontri con entità non meglio definite e con i parenti defunti, con i quali si può addirittura avere una comunicazione di tipo telepatico, cioè non verbale. In genere si ha una visione olografica della propria vita e una grande sensazione di serenità e benessere».

E poi?
«Può accadere che il parente “incontrato” ti dica: “No, qui tu non puoi stare anche se in questo momento ti senti bene. Devi tornare indietro perché la tua missione non è finita”. In genere a questo punto avviene il risveglio».

Sono fenomeni frequenti?
«Abbastanza. Oscillano tra il 5 e il 18 per cento nei casi di arresto cardiaco».

Comparabili ai sogni?
«No, la loro fenomenologia è diversa. Sono espressioni non ordinarie della mente. Ce ne sono di diverso tipo, di queste espressioni, e tra queste c’è anche l’esperienza pre-morte. Esperienze mistiche, visioni, reminiscenze di vite precedenti: tutte esperienze nelle quali uno ha un pensiero introspettivo e immaginativo che segue percorsi diversi da quelli del pensiero ordinario».

Quello che mi sta dicendo è in contrasto con l’idea filosofica prevalente oggi.
«C’è un contrasto con la visione materialista che ha dominato il XX secolo. In passato non era così. Pensi a quanto pesava nell’antichità un sogno premonitore, una profezia o un oracolo. Oggi sono considerati mere fantasie».

Dunque non si tratta di allucinazioni?
«No. Ci sono le allucinazioni e il delirium in terapia intensiva, fenomeni patologici conosciuti. Queste non sono esperienze patologiche, non possono essere ridotte semplicemente al risultato di un danno cerebrale. Sono esperienze che hanno un profondo significato per chi le vive. E spesso innescano un processo di revisione della propria idea del mondo e della vita. Hanno grosse implicazioni filosofiche».

Mi spieghi.
«Capisci che ci sono cose molto più importanti di quelle a cui hai dato peso fino a quel momento. Più importanti della ricchezza, del potere. Si sviluppa la spiritualità. Se fosse solo disordine cerebrale, non avrebbe queste conseguenze. Spesso chi ha queste esperienze va incontro a una profonda trasformazione positiva».

Non è delirio?
«No, come ho detto il delirio dovuto a farmaci o lesioni è ben conosciuto in terapia intensiva. Ma ha una fenomenologia completamente diversa. E oltretutto le sensazioni del delirio vengono poi dimenticate. Invece le esperienze pre-morte sono chiare, coerenti, ricordate per anni sempre nello stesso modo».

Il coma è uno stato intermedio tra vita e morte?
«Coma in greco vuol dire “sonno profondo”. Il cimitero richiama sempre una parola greca, dormitorio. Sonno e morte: “Morire, dormire, forse sognare” diceva Amleto...».

Ma le persone, quando stanno in uno stato di coma, avvertono quello che succede intorno a loro?
«Se è davvero coma, no. In fase di coma leggero odi risveglio, possono avvertire qualcosa».

Esiste un confine riconoscibile tra la vita e la morte?
«La morte è la morte cerebrale, perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo».

In fase di morte cerebrale resta la coscienza?
«No. Che poi la coscienza possa sopravvivere alla morte fisica è un altro problema, ovviamente oltre il confine di competenza della scienza».

Quando sei in arresto cardiaco che cosa succede?
«Ecco, lì sei - diciamo così al confine della morte. E se ti salvi, può darsi che tu possa ricordare un vissuto che poi riesci anche a raccontare. Ci sono alcuni casi, pochissimi davvero ben documentati (tre nella letteratura mondiale), di pazienti che in arresto cardiaco hanno visto il loro corpo dall’alto con i medici intorno che tentavano di rianimarlo, e poi sono tornati in vita e hanno raccontato dettagliatamente tutto quello che hanno osservato, e il tutto è stato poi verificato».

Questo è un dato di fatto?
«Sì, poi però bisogna interpretarlo. L’ultimo caso è di un paziente nel quale si è accertato che ha avuto almeno tre minuti di coscienza durante l’arresto cardiaco».

E come si spiega?
«Non c’è ancora spiegazione, ma è un fatto che sfida le attuali conoscenze di fisiologia del cervello. Una domanda cruciale è se la coscienza sia solo un epifenomeno dell’attività cerebrale o invece possa avere una natura diversa da quella finora conosciuta».

Filosofia, religione...
«Sì, certo. Ma si comincia a ragionare su questo anche sulla base di conoscenze scientifiche, ossia si inizia a ragionare sull’eventualità di una possibile non-località della coscienza, ipotesi che origina dalle teorie quantistiche applicate. Bisogna discutere di queste cose con un’autentica posizione scettica, ossia senza accettare né escludere nulla a priori».

E lei ha una risposta?
«No. Altrimenti potrei candiarmi per il Nobel».

Come mai ci sono elementi comuni in quello che raccontano i pazienti che escono dal coma?
«Potremmo definire questi elementi come archetipici nel senso junghiano del termine».

Le esperienze di pre-morte che vengono raccontate sono sempre positive?
«Prevalentemente, ma non sempre. Ci sono alcune esperienze di contenuto potremmo dire “infernale”. Il professor Parsi, ad esempio, dice di aver visto l’Ade, quindi gli inferi. Ma sono più rare».

Ma l’idea della reincarnazione è solo delirio antico?
«È un’idea che è stata presa seriamente in considerazione da grandi scuole filosofiche, in Occidente da Pitagora, Platone, Erodoto, solo per citarne alcuni. Poi in Occidente la dottrina della Chiesa cattolica ha escluso quest’ipotesi. Ma non è in sé una teoria più improbabile di altre. Come affermava Voltaire: “Non è cosa più sorprendente essere nati due volte anziché una soltanto”».

Queste esperienze sfidano la scienza?
«Certo. E la scienza è destinata a sfidare sé stessa, condizione necessaria per una conoscenza non dogmatica».

C’è qualcosa che ci dice che esistano soggetti più predisposti a vivere le esperienze pre-morte?
«Non ci sono ancora dati, ma non è da escludere».

Ci sono anche degli atei tra quelli che le raccontano?
«Sì, molti»

Le esperienze pre-morte sono legate alla spiritualità?
«Il XX secolo è stato dominato dal materialismo. Mentre oggi la spiritualità viene finalmente considerata importante anche in medicina per la salute e il benessere».

La spiritualità implica la religione?
«No. È un modo di essere nel mondo, una volta superata l’angusta prospettiva egocentrica ordinaria».

La religione che cos’è?
«Etimologicamente deriva dal latino are, riunire. Implica l’unione tra l’io e il non io, tra il corpo e lo spirito, in una visione non scissa della realtà».

Ma in quella esperienza di pre-morte anima e corpo si separano?
«Non sappiamo se l’anima esista né che cosa sia. Quello che noi intendiamo vagamente come anima – oppure possiamo dire “coscienza”, termine più familiare nelle neuroscienze - viene esclusa da una visione scientifica, ritenendo la coscienza un prodotto emergente dal cervello. Tuttavia, in quelle poche circostanze nelle quali il paziente “esce dal corpo” durante l’arresto cardiaco e poi testimonia ciò che è successo, beh, in quei casi le nostre convinzioni vacillano».

È possibile intuire quali sensazioni si provino al momento della morte vera?
«Il morire non è un evento, è un processo. Esistono esperienze sul letto di morte descritte già alla fine dell’800. Pazienti che raccontano visioni simili alle NDE prima di morire».

Che cosa succede a quelli che si risvegliano dopo vari annidi coma?
«Sono casi rarissimi. In genere non è coma, è stato vegetativo successivo al periodo di coma (normalmente della durata non superiore a 6-8 settimane). I confini tra stato vegetativo e responsività minima presentano a volte alcune incertezze diagnostiche».

Vivere le esperienze di pre-morte allontana la paura della morte?
«È uno degli effetti principali. Anche l’esperienza raccontata dal professor Parsi sembra in linea con questo dato».

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