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Agnelli e Berlusconi, maschere opposte dell'eterna commedia su dinastie e "roba"

Ginevra Leganza
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È la “legittima” che fa il patrimonio ma è la santa pace dei figli a babbo morto - a fare il padre. Nel segno della lungimiranza. Perciò, tanto s’azzuffano gli Agnelli quanto i Berlusconi si spartiscono l’eredità di Silvio in parti uguali. E il Cavaliere e l’Avvocato – il fu Gianni Agnelli – sono insomma le due maschere opposte e contrapposte nella commedia umana all’italiana, con Silvio che continua a fare da mattatore elargendo armonia e Gianni che ha dietro di sé una discendenza di controversie. Storie parallele su cui la cronaca impegna il grande romanzo delle famiglie.

Ma ricapitoliamo. Se Margherita Agnelli- «un’autolesionista», dice il figlio Lapo - pare sempre perfetta nel suo ruolo di Erinni, non un capello fuori posto mentre vendica i figli de Pahlen, gli altri e cioè i Berlusconi si godono ora ben 100 milioni. Quelli che Marina e Pier Silvio hanno deciso di prelevare dalle due società personali azioniste di Fininvest. Forse per ottimizzazione finanziaria o forse per ottemperare ai famosi lasciti (i 100 milioni a donna Marta, gli altri 100 allo zio Paolo, i 30 a Marcello Dell’Utri), chissà.

 

 

 

L’ODIO E L’AMORE

Di certo c’è che se da un lato – côté Agnelli – fra primo e secondo letto è tutta una teomachia di madri, nonne, avvocati, commercialisti e giornali, dall’altro – the Berlusconi’s – fanno fede il testamento olografo e l’amore. “Tanto amore”. O, come dire, il solito sole in tasca che splende sin dal mausoleo di Pietro Cascella, il monumento funebre dove il Nostro riposa. Comunque, dicevamo, Gianni e Silvio, Silvio e Gianni. Gli Agnelli e i Berlusconi come modelli opposti della roba verista. Quella “roba” di Don Mazzarò che in punto di morte reclamava i suoi averi acciocché lo seguissero sottoterra. «Roba mia, vientene con me!», diceva il bracciante arricchito mentre scannava i polli, disperato che non potessero seguirlo nella tomba.

 

 

 

OPERE E MISTERI

E dunque Berlusconi, Agnelli e- anche qui - tanta tantissima “roba”: non masserizie, certo, ma ben note case romane e sarde. Ville costruite dai marchesi Casati Stampa (Villa San Martino), e poi – du côté de chez Agnelli – castelli sulle colline torinesi e misteri dei Picasso e dei Monet perduti. E insomma tanta tantissima roba semi vacante che in punta di costume comunque pone un tema, anzi due. E cioè le due maschere della commedia italiana o, per la precisione, della commedia Milano-Torino (come il cocktail) che se da un lato stravolgono l’Agnelli testimone della “sprezzatura”, e quindi della ricetta tutta italiana del non dar peso a ciò che pesa, del vivere nel mistero e al di sopra di tutto, dall’altro svelano Silvio – sangue di popolo – grande papà liberale (liberale nel senso etimologico più che politico, col significato cioè di “magnanimo”).

Da un lato quindi l’avvocato che dopo il never complain - lamentarsi mai - ha lasciato orfani che si lamentano in fronte al popolo; dall’altro il cavaliere che il popolo se lo coccola persino post mortem, offrendo lo show di tanti figli e fratelli innamorati gli uni degli altri, innamorati di sé stessi e, ancor più, innamorati di lui... Del loro papà che – lui sì – con insospettabile sprezzatura ha sistemato tutto, risolto tutto, tolto peso a ciò che pesa (l’eredità), e messo un raggio di sole in tasca a ognuno. Del resto, lo abbiamo detto, Gianni e Silvio furono maschere speculari anche in vita. Lo raccontava Jas Gawronski, mitico amico dell’avvocato e portavoce del cavaliere, che se per Agnelli Berlusconi era un caso antropologico, per Berlusconi Agnelli era semplicemente un mito, un santino da tenere sul comodino. E dunque vite e patrimoni mescolati come in un cocktail Milano-Torino: maschere di un capitalismo etico – gli Agnelli – e miliardari col cognome pop – i Berlusconi. Cognome da romanzo lacustre di Piero Chiara, certo, che però è lo stesso per tutti i figli. A certificare, anche qui, la grandezza dell’amore che vince sempre sull’odio, dell’amore che tiene uniti e stravolge i codici dell’etica, dell’eredità, persino della sprezzatura. Che adesso è tutta nel sangue di popolo.

 

 

 

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