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Dossieraggio, Raffaele Della Valle: "Manovra da vecchio Kgb"

Francesco Specchia
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Di dossieraggi mostruosi e di altri racconti d’intimità violate. A discettare del verminaio che sta emergendo dalla pesca abusivissima d’informazioni dal catino della Direzione Nazionale Antimafia, Raffaele Della Valle, decano dei principi del foro, si inalbera. Dato il riconosciuto aplomb da Lord Brummell non gli accade spesso. Eppure, molto in questa faccenda non torna, e ne destabilizza l’intuito giudiziario.

Caro avvocato Della Valle, parliamo di 10mila accessi e 33mila file di dati abusivi scaricati dal finanziere Pasquale Striano. Che finora pare l’unico colpevole. Ma lo è davvero?
«Mi lasci dire: la cosa è vergognosa, e mi fa dubitare del fatto che, a 84 anni, io possa morire credendo dignitosamente nella giustizia. C’è la chiara violazione dell’art.15 della Costituzione, diritto alla privacy, uno dei capisaldi della nostra democrazia; sarebbe già grave se lo violasse un privato cittadino, a maggior ragione se lo fa un pubblico ufficiale in questo caso graduato e perfettamente consapevole delle sue azioni e delle relative conseguenze. C’è, qui, evidentemente una sicurezza di un’impunità».

Ergo, non crede alla teoria della «spasmodica ricerca di dati» del sottufficiale della Finanza per il quale il procuratore Cantone usa il termine “mostruoso”?
«Striano poteva agire una, due, tre, cinque volte ma è impossibile operare in un lasso di tempo così imponente senza essere beccati, senza che nessuno delle autorità competenti si accorga di qualcosa; e questo mentre nei tribunali vige, di fatto, il principio del “non poteva non sapere”. La prima domanda è cui prodest? A chi giova tutto questo? La seconda è: ma davvero vogliono farci credere alla teoria che un sottufficiale, preso da sindrome compulsiva di dati abusivi, abbia agito da solo? Ovvio che non ci credo».

 

 

Striano è stato trasferito in un ufficetto a L’Aquila, giusto per non nuocere. Secondo lei non c’erano i presupposti per una misura cautelare?
«Non so se il trasferimento possa surrogare un provvedimento cautelare, ma credo che i magistrati, per questo signore, stiano pensando al reato di cui all’art. 615 bis, accesso abusivo ai dati, interferenze illecite nella vita privata («chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni», ndr). Che poi, considerando le aggravanti, al massimo la pena diventa di cinque anni. Se lei pensa che per lo spaccio di 6 grammi di cocaina si arriva a sei anni, bisogna porsi un problema di dosometria delle pene. Ma quello è un altro discorso».

Torniamo a bomba. Eppure, nonostante le chat cancellate, le centinaia di documenti spariti nel nulla, lei non ritiene che possa configurarsi la fattispecie del reato continuato?
«Sì, siamo in presenza anche di un reato continuato in un tempo apprezzabile: “pluralità di violazioni in esecuzione dello stesso disegno criminoso”, articolo 81 del Codice penale (mentre lo dice l’avvocato scuote il capo, ndr)».

Non è convinto?
«Be’, ad occhio questa sembra più una manovra del vecchio Kgb. Le banche dati sono armadi dei veleni che devono essere ben custoditi. Qui qualcuno ha aperto quell’armadio, si tratta di capire chi gli ha dato le chiavi. C’è sicuramente un mandante, che ha una responsabilità perfino più alta dell’esecutore».

Lei è d’accordo con l’idea della persecuzione politica del centrodestra attraverso il dossieraggio?
«Questo non lo so. Io so che la Procura dovrebbe indagare molto in profondità, ma ora siamo alla fase “la Procura apre un fascicolo sul caso”; e lei sa quanti fascicoli io ho visto? Però, guardi, io non escluderei anche un’altra ipotesi tutt’altro che spericolata».

...Si riferisce a quella che nella fabbrica dei dossier - in quanto frutto di un’organizzazione complessa - possa esserci lo zampino di servizi segreti stranieri?
«Già. Un’ipotesi, tutt’altro che peregrina: servizi stranieri che tendano alla destabilizzazione del Paese. Che è ancora un Paese, nonostante tutto, competitivo e che ha preso solide posizione in politica estera, tanto per capirci. Ribadisco: abbiamo già avuto al Csm un “caso Palamara”, ed è bastato. Ora non cediamo alla tentazione di “palamarizzare” tutto, e di risolverla attribuendo ogni responsabilità a un’unica mela marcia».

 

 

Ma scusi, avvocato. Invece non è possibile attribuire tutto, banalmente, al nostro sistema dati ridotto a gruviera nei cui buchi si sia infilato un lupo solitario con l’ossessione parossistica dei dati?
«Se così fosse, devono dimostrarne l’esistenza. E sarebbe altrettanto grave».

Dal punto di vista tecnico, ai giornalisti del quotidiano Domani viene attribuita una corresponsabilità con Striano: questo non è un po’ eccessivo?
«È vero: un conto è se la notizia viene passata a un giornalista e quello fa lo scoop; un altro se il giornalista ha “commissionato” al pubblico ufficiale il ricorso abusivo alla banca dati.
Nel secondo caso, se accertato, sussiste, sì, una corresponsabilità del giornalista. Fermi restando gli enormi buchi nel nostro sistema di sicurezza - come diceva lei - una volta acclarato che si possono saccheggiare impunemente le vite degli altri, mi chiederei dove diavolo erano i nostri servizi segreti. A questo punto, se San Marino decidesse di invaderci lo sapremmo per ultimi...».

Lei è un po’ drastico. A sua esperienza, arriveremo a una soluzione prossima del caso, o s’impantanerà tutto?
«La gestione della giustizia è come quella degli esami all’università: dipende dalle domande che l’esaminatore fa all’esaminando. Dipende, insomma, tutto dalla volontà di chi indaga.
Durante Mani Pulite ho visto fare domande ad imprenditori su - magari - risparmi di 100 milioni di lire accumulati in una vita, e scorticarli vivi. E ho visto quesiti all’acqua di rosa con chi collaborava “spontaneamente”...».

A proposito di Mani Pulite. Il suo “amico” Piercamillo Davigo è stato condannato in secondo grado, dopo una vita da giustizialista. È un problema di ricorsi in appello o di ricorso del karma?
«Con Davigo io non ho mai avuto rapporti amichevoli. Davigo ha sempre fatto Davigo: è stato un magistrato dalla severità incredibile. Uno che diceva: se rubi ti taglio un braccio, e che riteneva inutile la figura dell’avvocato difensore. Affermava che l’assoluzione in appello fosse un’ingiustizia; be’, allora mi verrebbe da dire che adesso, secondo il suo metro, hanno fatto giustizia. Ma non lo farò. Perché sono avvocato e garantista fino a terzo grado di giudizio, dove mi auguro venga assolto. Certo, chi semina vento, spesso poi raccoglie tempesta...».

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