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La Sapienza apre ai dirottatori islamici, ma Papa e pro-Israele non possono parlare

Francesco Storace
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A 80 anni suonati Leila Khaled, con tanta voglia di terrorismo alle spalle, ha ancora voglia di fomentare odio. Militante palestinese, ma c’è chi la indica proprio come terrorista, oggi dovrebbe salire in cattedra alla Sapienza, sia pure da remoto. Farà in pratica lezione sulla sua terra agli studenti universitari che andranno all’evento organizzato da “Cambiare rotta”, un gruppo di estremisti di sinistra che pensa di decidere per tutti. Del resto, si saranno detti, la Khaled non è come Papa Benedetto, e nemmeno Daniele Capezzone o Davide Parenzo e Maurizio Molinari.

A differenza loro può entrare all’Università di Roma, deve entrare. Lo hanno deciso loro. E questo per raccontare un’esistenza turbolenta e tanti guai provocati ad altra gente. Due dirottamenti aerei sulle spalle non sono esattamente una passeggiata di salute. E così, laddove pure il ministro della Cultura Alessandro Giuli doveva essere contestato – ma non ci sono riusciti – persino per tenere un esame, le porte si spalancano invece per una protagonista della resistenza palestinese, membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, indicata come organizzazione terroristica da Ue e Usa. Il convegno avrà come tema: “Palestina: le radici del genocidio, gli orizzonti della lotta”. Fischieranno le orecchie a tutti quelli che non dimenticano il massacro del 7 ottobre scorso.

 

 

Leila Khaled è una politica e attivista palestinese, e nella sua vita è passata agli onori delle cronache come protagonista di due dirottamenti di aerei di linea nel ’69 e nel ’70. L’invito che le è stato rivolto ha scatenato dure prese di posizione politiche. A partire dalla vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno (Pd), che si è espressa con toni molto duri parlando con Il Foglio: «La partecipazione della terrorista Khaled è un affronto alla storia dell’ateneo e di Roma. Il terrorismo palestinese che nei decenni ha mietuto morti nella Capitale da Stefano Gaj Taché alle vittime dell’attentato all’aeroporto di Fiumicino viene portato in cattedra in modo osceno».

Va ricordato che la Khaled già lo scorso anno aveva preso parte a un convegno organizzato all’Università di Torino. Adesso replicherà, sempre da remoto, a pochi giorni dal primo anniversario dei massacri compiuti da Hamas sulla popolazione israeliana. Un tempismo particolarmente infelice che ha suscitato le critiche anche del capogruppo di Fdi alla Camera Tommaso Foti. «Le università dovrebbero essere luoghi di crescita culturale e del pensiero. Ma se ospitano persone con un passato quantomeno raccapricciante, senza contraddittorio, finiscono per fare tutt’altro: non cultura ma apologia del terrorismo». I leghisti Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari, capigruppo al Senato e alla Camera, hanno diffuso una nota: «Ci aspettiamo l’immediata revoca dell’invito da parte dell’università. Non ci deve essere spazio per un comizio di una terrorista. È inaccettabile e scandaloso».

L’iniziativa di oggi suscita non poca inquietudine. Ma l’università è davvero il luogo adatto dove far pontificare chi ha praticato il terrorismo? La domanda è d’obbligo e a rispondere dovrebbero essere le autorità accademiche, che avrebbero fatto bene a dire di no all’inconsueto invito. La stessa rettrice, professoressa Polimenti, avrebbe potuto considerare la coincidenza quasi temporale con i fatti di ottobre 2023 per invitare tutti a riflettere nel segno della preghiera, semmai, per quello che accadde allora. Anche perché il mondo vive un momento davvero delicato e certo La Sapienza non può diventare il luogo di adozione di iniziative di parte che non fanno bene a nessuno.

Sabato 5 gli esagitati che vorrebbero schierare l’Italia contro il diritto all’esistenza di Israele tenteranno di far sentire la loro voce sanguinaria in corteo nella Capitale, nonostante il divieto del ministro dell’interno Piantedosi. E l’università, invece, deve diventare zona franca per chi inneggia al massacro degli ebrei? «Dopo gli inviti a marchiare con lo spray le case di chi sostiene Israele lanciati da squallidi personaggi televisivi», è l’accusa mossa a Chef Rubio, «arriva un nuovo segnale preoccupante da quelli che devono essere i luoghi del sapere e del confronto», afferma ancora Foti. Ed è una verità indubitabile che non può essere messa in discussione.

 

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