Forsyth, lo scrittore che visse come in una sua spy-story

Pilota della Raf, inviato su fronti caldi, agente segreto: l’autobiografia del bestsellerista ci fa capire l’uomo oltre l’autore
di Daniele Capezzonemercoledì 11 giugno 2025
Forsyth, lo scrittore che visse come in una sua spy-story
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Dell’appena scomparso Frederick Forsyth molti conoscono i romanzi e le spy -stories più famose: da Il giorno dello sciacallo a Dossier Odessa, passando per I mastini della guerra e almeno una dozzina di altre opere imperdibili, caratterizzate da uno stile essenziale, senza fronzoli.

Mi permetto di suggerire – per riscoprirlo o per iniziare a conoscerlo – anche la sua autobiografia (The Outsider, pubblicata in Italia da Mondadori), significativamente dotata, come sottotitolo originale, della formula La mia vita nell’intrigo (l’edizione italiana ha scelto la formula più neutra Il romanzo della mia vita). «Keep it simple», «falla semplice», è la costante raccomandazione di Forsyth a chi scrive: bisogna per prima cosa raccontare una storia, non divagare o elucubrare troppo.

IL GIORNALISMO

Tra l’altro, quel che è meno noto, almeno in Italia, è il suo lungo lavoro come giornalista: prima alla Reuters, poi alla Bbc, come inviato anche in luoghi caldissimi, come vedremo tra poco. E anche con esperienze e sentimenti molto diversi, in termini di soddisfazione professionale: più a proprio agio nella meritocratica Reuters, più insofferente rispetto alla politicizzazione della Bbc. Quello che era invece del tutto sconosciuto, fino a prima di quel libro, era l’esperienza di Forsyth come collaboratore della “Ditta”, di “The Firm”, come la chiama lui, cioè dell’MI6, dei servizi segreti inglesi. Anche a questa rivelazione, nel quadro del racconto dei suoi decenni di vita e carriera, Forsyth ha dedicato il lavoro autobiografico di cui vorrei parlarvi.

Ne emerge un’immagine a tutto tondo: di un giornalista attrezzato, di uno scrittore abilissimo, e anche di un uomo che, per amore della patria e di alcune buone idee, ha aiutato il proprio paese. Forsyth è autoironico quando si racconta, capace di rinunciare all’approccio esibizionista e egomaniaco tipico di certi grandi giornalisti e grandi inviati, per assumere invece uno spirito “alla Bertie Wooster” (il celebre ingenuo personaggio dei libri di P.G. Wodehouse): insomma, ostentare un’apparente ingenuità per farsi raccontare più cose dai vari interlocutori, per apparire “meno pericoloso”, e dunque vincere la ritrosia ad aprirsi con lui di signori della guerra, mercenari, spie, personalità.

Forsyth, sin da ragazzo, voleva una vita avventurosa, e l’ha avuta. Il libro lascia senza fiato, in questo senso: pilota della Raf a 18-19 anni, poi inviato a Parigi (negli anni dell’occupazione francese in Algeria, con tutte le tensioni del caso), poi nella Berlino Est comunista (intorno ai 25 anni!), poi nell’Africa delle dittature e della fame (meno che trentenne!).

Proprio a Parigi, nel distretto a luci rosse, il giovanissimo Forsyth ha la fortuna e la bravura di catturare una confidenza in ambienti militari: il desiderio di uccidere De Gaulle, “colpevole” - agli occhi di qualcuno - di aver posto fine all’occupazione francese in Algeria, accettandone l’indipendenza. Nasce da questo spunto, ad appena 31 anni, la trama de Il giorno dello sciacallo.

Da allora, è un successo dopo l’altro: ma solo adesso apprendiamo che, accanto alla fatica della macchina da scrivere, c’era il rischio vero della collaborazione con i Servizi inglesi. Forsyth racconta in modo palpitante il pericolo maggiore, quello corso a Berlino Est: deve portare documenti riservati nella sua auto (nascosti nel cofano della vettura), uscire dalla città controllata dai comunisti e consegnare le carte all’MI6. Ma all’improvviso la strada viene illuminata a giorno dai fari delle guardie, e Forsyth mormora a se stesso che la sua corsa – in ogni senso – è finita. Invece, magicamente, tutto fila liscio, e Forsyth se la cava anche in questa occasione. Poi la pagina in Africa, quella che dà la misura piena della dimensione morale dell’impegno di Forsyth.

È inviato in Biafra, e non esita a denunciare (forse per primo al mondo) non solo gli orrori della fame e della miseria, ma anche il grave errore inglese di dare sostegno al dittatore nigeriano. La Bbc non gradisce e tenta di censurarlo, ma Forsyth tiene il punto. E fa capire bene che è possibile servire la patria, amarla, ma senza per questo rinunciare a valori e princìpi.

IL SENSO DELLA VITA

È davvero un libro da leggere, in particolare per chi ama le spy stories di Forsyth, e può ora scoprire molti “retroscena”. Certo, qui in Italia verrà un po’ di malinconia ai lettori più avvertiti, starei per dire di “nostalgia” per ciò che non abbiamo granché avuto, con rare eccezioni, purtroppo: il profilo di un liberalconservatore euroscettico, di idee robuste e articolate, coraggioso nell’azione, leale verso il suo paese, ma anche capace di mantenere un solido senso critico. Merce rara, e non necessariamente gradita a molti. Quest’autobiografia è anche l’occasione per una riflessione davvero di fondo.

Forse - ci fa capire Forsyth il senso della vita, che per definizione è inafferrabile, può essere intuito e sfiorato solo in questo modo: tenendo insieme la solitudine del pensiero e della scrittura da un lato, e l’amore per le idee e per l’avventura dall’altro.