Don Giovanni e Casanova, così nacque il mito del "gran seduttore"

In un libro la storia parallela tra letteratura e film dei due "tombeur de femmes", uno reale e l'altro immaginario
di Bruna Magivenerdì 25 luglio 2025
Don Giovanni e Casanova, così nacque il mito del "gran seduttore"
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Due uomini oggi di tipologia all’indice, l’uno figlio della realtà, narratore di se stesso e delle sue imprese, l’altro esaltato da un’alta fantasia letteraria, entrambi protagonisti di “femminicidio creativo”. Così due mostri (nel senso latino del termine, “monstrum” , qui entrambi meraviglia della seduzione) vengono fatti rivivere da Valeria Arnaldi nel saggio Casanova & Dongiovanni, il mito del maschio seduttore (Edizioni Ultra, pag.190, euro15), filo conduttore l’insostenibile peso della vanità nella vita degli uomini.

«Più facile disfarsi dei vizi che delle vanità», fa dire l’autrice a Giacomo Casanova. E i due peccatori per eccellenza si contendono lo spazio, a capitoli alterni, al fine di sedurre il lettore con il piacere di sfogliare pagine, non solo quello di conquistare le donne. Apre l’argomento Tirso da Molina, che nel 1630 scrisse l’opera teatrale L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra, raccontando di tale Don Giovanni, seduttore universalmente conosciuto e promesso sposo di donna Anna, il quale sa di essere amorale e perfido, e ogni giorno mette in atto la sua filosofia: «È per dare ad ognuna le attenzioni che merita che non si rifiuta nessuna».

Perché «estrema è la dolcezza che si prova nell’asservire, con infinite attestazioni, il cuore di una bella giovane, nell’osservare giorno dopo giorno i progressi ottenuti... nel vincere poco a poco le piccole resistenze che essa ci oppone, nel superarle e condurla dolcemente là dove vogliamo che giunga». Don Giovanni è “malato di seduzione”, ma non solo, è già posseduto dall’inferno, e in questa veste veleggia dritto verso Lucifero, passando però per il libretto di Da Ponte, che lo affida a Mozart, regalandoci un’aria immortale, intonata dal servo Leporello: «Madamina, il catalogo è questo/ Delle belle che amò il padron mio... In Italia seicentoquaranta, in Alemagna duecento e trentuna; cento in Francia, in Turchia novantuna; ma in Ispagna son già mille e tre. V’han fra queste contadine, cameriere, cittadine. V’han contesse, baronesse, marchesane, principesse. E v’han donne d’ogni grado, d’ogni forma, d’ogni età». Un fauna femminile costituita da farfalle impazzite che in anni recenti amavano suicidarsi, in senso figurato, tra le braccia dei dongiovanni diventati playboy, alcuni marchio doc come Gianni Agnelli, Gunther Sachs, e altri anche più teneri, quasi casalinghi, come Gigi Rizzi, tutto bandana e Brigitte Bardot. Ma forse non fu vera gloria, per loro le citazioni d’au tore erano esaurite, quelle riservate a Don Giovanni da “firme” come Byron, Baudelaire, Puskin, Kierkegaard, Gauthier.

E Casanova, che c’entra? A parte il fatto che molte persone confondono i due personaggi, il veneziano è uomo di carne, non frutto letterario come lo spagnolo, del quale si era innamorato, vedendo in teatro, a Praga il Don Giovanni o il dissoluto punito di Wolgang Amadeus Mozart. Tanto da farsi venire la voglia di raccontare se stesso e la sua avventurosa vita con le donne amate, trasformando l’autobiografia in una sorta di guida esistenziale per i posteri, senza imputare a Don Giovanni colpe tali da meritare le fiamme dell’inferno. E infine quei due entrarono nei volti della settima arte: Arnaldi intitola Senza parole, lo spazio riservato a Don Giovanni e Casanova nel cinema muto, segue Lo schermo innamorato. I film senza voce risultano un po’ ridicoli, quadri drammatici con i sottotitoli e donne disperate con enormi occhi bistrati nella dimensione dello sguardo di un panda. Ma quando inizia lo “schermo innamorato”, con il sonoro, è tutta una sfilata di star.

Se John Barrymore aveva iniziato a sedurre con Mary Astor, ecco arrivare nel 1948 Errol Flynn, che con la regia di Vincent Sherman interpretava un Don Giovanni tutto cappa e spada secondo la moda del tempo. «Perché», scrive Arnaldi, «Flynn era bello, tremendamente macho in ogni ruolo, eppure anche romantico, tanto da strappare anche lacrime e quindi il ruolo di Don Juan non poteva che essere suo». Ma ci furono anche i latin lover italiani, come Vittorio Gassman che interpretò Casanova nel 1948, per la regia di Vittorio Freda. E nel 1954 Steno dirige Gabriele Ferzetti ne Le avventure di Giacomo Casanova, nel 1965 Mario Monicelli si diletta con Marcello Mastroianni in Casanova ’70 sino a Fellini, nel 1976, con uno straordinario Donald Sutherland, Casanova tout court. Che catalogo per immagini, quello di Don Giovanni e Casanova, che la Arnaldi ha avuto il coraggio di riproporre quasi con un velo di rimpianto. Uomini che distruggono le donne, tutti da buttare? Oggi è stata fatta giustizia, ma quanta soddisfazione, se una donna tosta, nel tempo che fu, da eccezione in controtendenza, riusciva a tener testa a un Don Giovanni. Ci furono anche quelle. E riconosciamolo, come ci racconta Valeria Arnaldi: senza il mito del maschio seduttore, quanti buchi ci sarebbero stati nella creatività, dalla letteratura alla musica, dalla pittura al cinema. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

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