Karel Capek, l'uomo che nel 1920 inventò il futuro

di Ottavio Cappellanivenerdì 22 agosto 2025
Karel Capek, l'uomo che nel 1920 inventò il futuro

5' di lettura

Quando nel 1920 Karel Capek scrive R.U.R. (Rossum’s Universal Robots), difficilmente poteva immaginare che la sua pièce teatrale, concepita inizialmente come una parabola filosofico-politica, avrebbe avuto un impatto così dirompente sulla cultura mondiale. Eppure, quell’opera nata nel cuore dell’Europa centrale, in un periodo di profondi sconvolgimenti sociali e politici, non solo coniò la parola “robot”, ma contribuì a forgiare un immaginario che influenzò letteratura, cinema, filosofia e perfino il linguaggio quotidiano. Capek, giornalista, romanziere, drammaturgo e intellettuale ceco, scrisse R.U.R. con l’intento di esplorare le conseguenze della modernità, del progresso tecnico e dell’industrializzazione. Il termine “robot” non era neppure suo: lo suggerì il fratello Josef, pittore e scrittore, ispirandosi alla parola ceca “robota”, che significa “lavoro forzato”, “fatica”. Fin dall’inizio, quindi, il concetto era legato a una riflessione sul lavoro e sull’alienazione.

La trama è archetipica: in un’isola, l’industriale Domin guida la R.U.R., fabbrica che produce “robot”, esseri artificiali fatti di materia organica, costruiti per sostituire l’uomo nelle mansioni più faticose. In breve tempo, però, questi lavoratori perfetti e instancabili cominciano a ribellarsi ai loro padroni, fino a sterminare quasi tutta l’umanità. L’opera si chiude con una sorta di “nuova genesi”, quando due robot, Primus e Helena, lasciano intravedere un futuro diverso per il mondo.

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SUCCESSO MONDIALE
Dopo il debutto al Teatro Nazionale di Praga (1921), l’opera fu rappresentata in tutto il mondo- Berlino, Londra, Parigi, Tokyo, a New York fu messo in scena nel 1921 dal Theater Guild, che ha introdotto in America i più grandi autori europei, da Ibsen, a Shaw, a Cechov, a Pirandello (per un totale di 184 repliche - decretando il trionfo del termine “robot”. In Italia, nonostante l’entusiasmo dei futuristi, non ebbe uguale fortuna.

La prima traduzione nel 1929, a firma di Lorenzo Gigli, appare sulla rivista Il dramma, con illustrazioni di Erberto Carboni. Fu messo in scena a Napoli nel 1928 e a Firenze nel 1933, ma senza alcun successo. Enrico Prampolini e Ruggero Vasari mostrarono interesse pubblicando foto della messa in scena berlinese sulla rivista Noi. Nel 1942 ci fu persino un tentativo, tutto italiano, di realizzarne un film E.N.I.C, con scenografie di Prampolini, ma il progetto non fu mai realizzato.

LA MACCHINA RIBELLE
L’impatto di R.U.R. sulla letteratura è stato enorme. Prima di Capek, esistevano già figure artificiali e meccaniche: dall’automa di Talos nei miti greci, alla creatura di Frankenstein di Mary Shelley (1818), fino agli automi della fantascienza ottocentesca. Ma R.U.R., oltre ad essere il primo testo che affronta la questione dell’Intelligenza Artificiale dal punto di vista contemporaneo, sposta l’attenzione su un tema che oggi ci troviamo ad affrontare: i robot non sono un’eccezione mostruosa, bensì una produzione industriale di massa. Non più il “singolo mostro”, ma un’intera classe sociale artificiale.

Questa idea ha dato origine a un filone sterminato di storie sulla ribellione delle macchine. Senza Capek, difficilmente avremmo avuto i replicanti di Philip K. Dick in Do Androids Dream of Electric Sheep? e il film tratto da questo racconto Blade Runner, di Ridley Scott, così come probabilmente non avremmo avuto la Matrice di The Matrix, o ancora le intelligenze artificiali ribelli di Asimov (in Io, Robot) e di Arthur C. Clarke (il computer AL di 2001, Odissea nello Spazio). L’idea che l’uomo, creando l’intelligenza artificiale, perda il controllo della sua creatura, diventa una delle ossessioni del Novecento.

IL PASSAGGIO AL CINEMA
Non meno importante è stata l’influenza sul cinema. Il primo grande esempio è Metropolis (1927) di Fritz Lang, che traduce in immagini la paura del lavoro meccanizzato e introduce la figura iconica della donna-robot, Maria. A questo proposito ebbe risonanza mondiale la querelle tra H.G. Wells e Fritz Lang con Wells che rimproverava, in buona sostanza, di avere copiato R.U.R. affidando alla moglie la scrittura del soggetto e della sceneggiatore per non pagare i diritti a Capek.
Da lì in poi, il cinema non ha mai smesso di interrogarsi sul rapporto uomo-macchina: 2001: Odissea nello spazio (1968) con HAL 9000, Blade Runner (1982), la saga di Terminator, o Il mondo dei robot con Yul Brynner, Westworld, fino a M3gan, ma la lista è davvero troppo lunga per una compilazione completa.

In tutti questi casi, l’eco di Capek è evidente: l’idea che la tecnologia, nata per servire, possa emanciparsi, ribellarsi e sostituire l’uomo. E, ogni volta, la stessa domanda: cosa significa essere umani? Ma R.U.R. non è solo un testo di fantascienza. Capek intendeva scrivere una satira sociale e politica, e la sua influenza arriva fino a oggi: quando discutiamo di “automazione”, “lavoro sostituito dalle macchine”, “disoccupazione tecnologica”, non facciamo altro che riprendere i temi che Capek aveva già messo in scena cento anni fa.

L’EREDITÀ LINGUISTICA
Forse l’influenza più duratura di Capek è linguistica: la parola “robot” è diventata universale, adottata in tutte le lingue del mondo. Non esiste oggi settore della vita quotidiana, dalla medicina alla tecnologia domestica, che non utilizzi quel termine. È difficile immaginare il linguaggio moderno senza di esso. R.U.R. di Karel Capek non è solo un testo teatrale: è un’opera-mondo, che ha generato un mito, un termine, una categoria dell’immaginario. Ha dato il via alla fantascienza moderna, ha influenzato scrittori, filosofi e registi, e continua a parlarci con una forza profetica. In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale non è più un’ipotesi letteraria ma una realtà quotidiana, le domande di Capek tornano a bussare alle nostre porte.

MACCHINE O ORGANISMI?
R.U.R. è stato profetico anche su un’altra evoluzione dei nostri tempi. I “robot” di Capek non sono meccanismi, ma “organismi”. Sono “cloni” funzionali dell’essere umano. Oggi, la ricerca sulla robotica, ha abbandonato leve, pompe idrauliche, rotori per costruire ex novo muscoli, nervi, computer neuronali. Il “Protoclone” – la cui immagine è pressoché identica al “Vecna” di Strangers Things – è un androide sviluppato da Clone Robotics, che integra esoscheletro, organi, tessuti muscolari e vasi sanguigni sintetici.

Questo robot è progettato per replicare fedelmente la struttura e i movimenti del corpo umano, con oltre 200 gradi di libertà, 1000 myofibre e 500 sensori. A distanza di più di un secolo la “profezia” dell’autore ceco diventa realtà. Ma non parliamo solo di corpi. In R.U.R., anche senza la terminologia moderna, appare per la prima volta anche il concetto di intelligenza artificiale “generativa”: i robot imparano dalla loro stessa esperienza.

Quando nel 1935 appare in Russia il film dal titolo Gibel sensatsii), nel quale i robot portano un’evidente sigla “RUR” sul petto, anche se il drammaturgo non viene citato nei crediti del film e la trama non presenta somiglianze se non nel tema generale della creazione di esseri artificiali, Capek si ribella proprio su questo concetto: e scrive un articolo contro la trasformazione dei suoi esseri artificiali in robot meccanici (articolo pubblicato da Alessandro Catalano nella rivista “eSamizdat, Rivista di culture dei paesi slavi”).

DI NUOVO IN TEATRO
Il Teatro Stabile di Catania – che ringrazio – mi ha dato la possibilità di scrivere un adattamento che, di fatto, è una riscrittura e un omaggio: liberare R.U.R dalla patina del tempo per attualizzarlo e farlo esplodere in tutta la sua potenza seminale (aggettivo abusato, ma in questo caso assolutamente “adeguato”, direbbe Spinoza). E restituire all’Italia un testo che nel resto del mondo sta vivendo una nuova, importante riscoperta.

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