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Ennio Flaiano, l'uomo che osservava il mondo attraverso i film

Esce "Chiuso per noia", raccolta delle recensioni dello scrittore capace di lasciare il segno anche come critico di pellicole
di Bruna Magivenerdì 19 settembre 2025
Ennio Flaiano, l'uomo che osservava il mondo attraverso i film

(Libero )

3' di lettura

Che strano effetto fa, raccontare le “critiche di un critico” , il più bravo. Colui che attaccava i film, ma contribuiva anche a crearli, scrivendo sceneggiature. Si chiamava Ennio Flaiano, ironico, esplosivo, geniale, feroce, dal 1994 Adelphi sta pubblicando, suddivisa in vari volumi, la sua gigantesca produzione, è uscito ora Chiuso per noia (una raccolta di recensioni che vanno dal 1939 al 1969, pag. 326, euro 16). Flaiano diceva di se stesso che il suo lavoro «poggiava sulle nuvole», quelle di un effervescente immaginario, perché allora, durante il ventennio e poi nel dopoguerra , il cinema era una macchina che catturava i cuori e condizionava le vite, era il mondo in cui riflettersi e sognare nel buio di una sala.

Anna Longoni, curatrice del volume, lo descrive acuto e beffardo, pacato e intransigente, raffinatissimo dietro lo schermo della nonchalance, sempre ostile alle falsità e alle insulsaggini, cioè tutto quello che piaceva a un pubblico «eccessivamente tardo di comprendonio», perché le bugie patinate rendono confortevole l’esistenza (stavamo andando verso il miracolo economico) alla stesso modo dei treni rapidi, delle automobili, dei termosifoni. Ma Flaiano preferiva andare al cinema non tanto per inghiottire la pillola dorata, quanto per sgranchirsi l’immaginazione e la visione morale del mondo, tra i suoi film prediletti c’erano Ombre rosse di Ford, Verso la vita di Renoir e Monsieur Verdoux di Chaplin, racconta Longoni, perché loro trasmettevano il marchio «così semplice e raro del genio». L’ammirazione più forte era per Orson Welles, che frequentava spesso Roma e mangiava il pollo con le mani, non perché fosse un buzzurro maleducato, ma per eccesso di carattere. Flaiano era nato a Pescara Vecchia e per curiosa coincidenza, sarebbe arrivato nellla Capìtale con la famiglia sul treno che il 27 ottobre 1922 trasportava i fascisti della marcia su Roma. Fatto storico, sul quale avrebbe scritto gustosissimi aneddoti, dopo aver conosciuto Mario Pannunzio e Leo Longanesi.

Avrebbero fatto seguito, nelle sue frequentazioni, fra il Caffè Greco e le trattorie romane, Aldo Palazzeschi, Sandro Penna, Vitaliano Brancati, Vincenzo Cardarelli. Ma lui sarebbe diventato il più eclettico di tutti, perché non ci sarebbe stata soltanto la critica cinematografica, ma anche la creazione, i romanzi (Premio Strega nel ’47 per Tempo di uccidere) e le sceneggiature, tormentato il suo rapporto con Fellini, con il quale aveva lavorato anche per La Dolce Vita. E poiché la sorte è spesso ingiusta, pochi sanno che dietro la malinconica facciata del giornalista mondano Marcello Mastroianni, non c’era soltanto Federico, ma anche (forse soprattutto?) la profonda inquietudine di Flaiano. Una tristezza profonda gli feriva l’anima, soprattutto per le condizioni dell’amata figlia, Luisa, affetta da disabilità cronica, e afasia, a causa di un’encefalite. Affascinante il suo saper vedere lontano, ascoltate che cosa scriveva su Totò che riusci a sfuggire alla tentazione di “intellettualizzare“ il suo personaggio, per compiacere chi lo riteneva soltanto una marionettta. Scriveva Flaiano: «Messo su una china tanto pericolosa, Totò avrebbe finito col recitare Moliere e Pirandello e scrivere libri di ricordi, se non l’avesse salvato il buon senso napoletano. Difatti continuò a girare i teatri, con incredibili compagnie di varietà, a inventare le sue scenette, a battersi il petto furiosamente e agli attori stupefatti spiegare: sto pregando, che uno deve essere ateo? Ad essere sciocco e furbo come Pulcinella, sempre suscitando un ragionevole entusiasmo». Ma la raccolta cavalca il secolo e ci sorprende per la velocità, da Totò arriviamo a Stanley Kubrick e il suo 2001: Odissea nello spazio.

Uscì nel 1969, ma c’era già dentro il nostro mondo, il linguaggio dei calcolatori, sembra di intravvedere dietro l’angolo il profilo della Silicon Valley. «È dal tempo di Frankenstein che le nuove creature per eccesso di informazioni tenderanno a prevaricare sull’uomo... Durante la rivolta dell’università di Berkeley, gli studenti agitavano infatti come segno di protesta i cartellini dei calcolatori IBM. La costruzione della Torre di Babele sarebbe riuscita se affidata a un calcolatore? Ecco ciò che Kubrick mette in dubbio. Il calcolatore ingannerà, non perché costruito male, ma per effetto della sua stessa “perfezione umana”. E allora gli insuffleranno persino un coefficiente di emotività. E sarà portato fatalmente all’inganno e alla rivolta. Come l’emotivo calcolatore HAL 9000, che sa anche giocare a scacchi e far conversazione, si macchia di fellonia...». Oggi, cinquantasei anni dopo, l’intelligenza artificiale vive insieme a noi. Speriamo che non faccia guai peggiori di quelli già esistenti per colpa dell’intelligenza umana. Grazie Flaiano per aver condiviso il concetto con Kubrik. Immortale il suo film, irresistibile la tua scrittura.