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Maurizio Cattelan, che furbo! Caccia al tesoro con le sue statuine

Le sculture nascoste a New York, Londra, Amsterdam, Si possono trovare nei mercatini a soli 99 centesimi
di Nicoletta Orlandi Postigiovedì 25 settembre 2025
Maurizio Cattelan, che furbo! Caccia al tesoro con le sue statuine

(Quotidiano Libero)

3' di lettura

Maurizio Cattelan ancora una volta bastona il mondo dell’arte contemporanea, e nello stesso tempo lo asseconda con una furbata che fa parlare di sé. In un mercato dove le sue opere valgono milioni, l’idea di trovarne una autentica a meno di un euro non è solo un gioco, ma un gesto concettuale coerente con tutta la sua poetica: scompaginare le regole dall’interno, ridicolizzare il sistema senza mai uscirne davvero. La nuova iniziativa si chiama “Dov’è Maurizio? ” ed è una caccia al tesoro globale. In palio c’è “We Are the Revolution” (2025), una miniatura di 23 centimetri che raffigura l’artista stesso appeso al muro per il colletto della camicia, scalzo e rassegnato, come un impiegato punito o un martire domestico. Realizzata in resina e dipinta a mano, la scultura è prodotta in 1.000 esemplari in collaborazione con Avant Arte. Dal 30 settembre al 7 ottobre, ogni giorno due indizi guideranno i partecipanti nelle strade di New York, e online a Londra e Amsterdam, per scovare una delle sculture nascoste in mercatini, bodegas o negozi d’antiquariato. Prezzo: da 99 centesimi a quasi 10.000 euro.

Il gioco non è nuovo nella carriera di Cattelan. Già nel 2000 il suo alter ego di feltro, penzolava da una gruccia metallica di Marcel Breuer. Oggi quell’eco beuysiana ritorna sotto forma di parodia: la rivoluzione non è più l’utopia collettiva, ma la caricatura di un artista che si mette in saldo, oscillando fra irriverenza e complicità con il mercato che critica. Perché mentre i fortunati della caccia potranno acquistare il “piccolo Maurizio” per una manciata di monete, gli altri potranno accedere alla lotteria ufficiale di Avant Arte, e sperare- se sorteggiati- di portarsi a casa una scultura al prezzo di 1.500 euro. Di certo, una volta chiusa la serie, varrà molto, molto di più. Del resto Cattelan è maestro nel trasformare il non sense in valuta. Lo fece con “Comedian”, la banana attaccata al muro che divenne simbolo virale del 2019, e con “America”, la toilette d’oro a grandezza naturale installata nel 2016. In entrambi i casi, l’opera era insieme sberleffo e prodotto di lusso, al tempo stesso critica e celebrazione del mercato. La stessa ambivalenza ritorna nella caccia al tesoro: l’artista si fa trovare sugli scaffali come un gadget pop, ma dietro l’operazione c’è la logica del collezionismo più esclusivo.

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Quando nel 2011 il Guggenheim gli dedicò la retrospettiva “All”, Cattelan mise in scena il proprio funerale artistico: le opere appese a mezz’aria come spoglie. Eppure fu proprio quella mostra a consacrarlo definitivamente nel pantheon del mercato globale. Da allora, ogni sua uscita pubblica è diventata notizia, spesso più dell’opera stessa. Con “We Are the Revolution” il gioco si fa ancora più sottile. Cattelan diventa egli stesso oggetto da cacciare, da collezionare, da appendere al muro. Non solo mette in vendita la sua immagine, ma trasforma la ricerca dell’opera in un’esperienza performativa che coinvolge direttamente il pubblico. In questo senso, il suo sarcasmo si intreccia con l’eredità di Beuys: se “ogni uomo è un artista”, allora ogni uomo può partecipare alla rivoluzione, anche per 99 centesimi.

Il filo che lega queste esperienze è l’ironia. Un’ironia corrosiva, a volte crudele, che non concede tregua né al pubblico né al sistema che lo sostiene. Cattelan ha sempre recitato il ruolo del giullare: bastona il re, ma intrattiene la corte. Ridicolizza l’arte come sistema autoreferenziale, eppure ne diventa protagonista assoluto. Questa caccia al tesoro ne è l’ennesima prova: un modo per rendere l’arte accessibile, persino popolare, ma anche per riaffermare la centralità del suo marchio in un mercato che ha bisogno di provocazioni quanto di rarità. «Se non avresti mai pensato di poter appendere una mia effigie a casa tua... beh, nemmeno io», ha detto. Una battuta che riassume il paradosso della sua carriera: l’arte come beffa, l’artista come bersaglio, e il pubblico trascinato in un gioco che è insieme rivoluzione e furbata commerciale. L’arte di Cattelan è sempre fuori posto, eppure trova casa ovunque.